Alla scoperta di una "Meraviglia italiana" nell'entroterra teramano: la Chiesa di Santa Maria a Vico


Piccola perla architettonica dall'eleganza austera e sublime dimora solitaria lungo la sponda del torrente Vibrata


di Valentina Coccia
Categoria: Incolta
09/01/2018 alle ore 15:07

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Piccola perla architettonica dall'eleganza austera e sublime, la Chiesa di Santa Maria a Vico dimora solitaria lungo la sponda del torrente Vibrata, in quelle campagne dell'entroterra teramano che circondano la cittadina di Sant'Omero.

Vera e propria “Meraviglia italiana”, così certificata il 28 luglio 2011 - unica chiesa del territorio provinciale teramano a ricevere tale riconoscimento - è annoverata tra i siti paesaggistici di interesse nazionale e celebrata da parte della critica quale unico monumento d'Abruzzo anteriore al Mille giunto a noi quasi completo.

L'edifico sorge su un'area che, all'epoca dell'imperatore Traiano, contemplava la presenza di un vicus ed accoglieva un tempio dedicato alla divinità di Ercole. Tuttavia, la prima menzione documentata della Pieve di Santa Maria a Vico risale solo al 1153, una bolla pontificia con cui papa Anastasio IV attribuisce la stessa alla mensa vescovile della Diocesi Aprutina.

La chiesa ha subito delle modifiche, evidenti soprattutto nel fronte, nel XIV secolo, ed è stata restaurata per la prima volta nell'anno 1885 dall'architetto Giuseppe Sacconi ed una seconda volta da Mario Moretti tra il 1970 ed il 1971.

Un pregiato revival di elementi paleocristiani – probabile espressione della riforma gregoriana che ebbe spunto in Montecassino – ovvero un Agnus Dei correlato dai simboli dei quattro Evangelisti e da motivi geometrici e floreali, accoglie il visitatore all'ingresso, lungo quel portale così scolpito “a negativo”, con le figure incassate nella viva pietra.

La facciata è caratterizzata da una rarissima lavorazione “ad opus spicatum”, una decorazione che vede i mattoni intrecciarsi in un prezioso motivo a spina pesce, che in Abruzzo ritroviamo, oltre che qui, solo nella chiesa di San Leucio ad Atessa.

Le transenne in pietra che chiudono le finestre, in travertino e terracotta, recano raffinate croci di sant'Andrea e croci greche e concorrono, insieme alla torre campanaria aggiunta nel Trecento ed al rosone di Ottocentesca ricostruzione, ad impreziosire ulteriormente l'esterno di questo magnifico monumento.

L'interno, secondo uno schema iconografico semplice e basilare, tipicamente paleocristiano, è suddiviso in tre navate da sei colonne per lato, sormontate da robusti capitelli in pietra lavorati sommariamente; l'aula si conclude in un'abside semicircolare aperta da una monofora nella zona centrale. L'edifico è orientato da ovest verso est, secondo quella tradizione che prevedeva una disposizione dei luoghi di culto in direzione del cammino del sole.

Ed è proprio la luce del sole che penetrando lieve dal rosone, trapelando dolce e morbida da una piccola apertura laterale o dalla monofora dell'abside, crea quell'atmosfera rarefatta fatta di un sublime chiaroscuro che accarezza le superfici esaltando la purezza essenziale e severa di questa struttura.

Un interno fatto di misticismo e religioso silenzio, di visione soffusa ed odore secolare, in cui i timidi ed ormai sbiaditi lacerti di trecenteschi affreschi – una Madonna con Bambino, un Cristo in trono, e poi un'Annunciazione ed ancora una Vergine assisa – concorrono a creare una dimensione eterea ed atemporale nella quale il visitatore si spoglia di ogni mondana finzione restando ad anima nuda, come la vivida pietra di questa Pieve, al cospetto del divino giudizio, o della propria più temibile morale.

 

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