Aric, il valzer dei commissari: messo il cappello sulla Centrale unica degli appalti


Con un emendamento di fine anno, confidando nella distrazione natalizia, nei panettoni e nello stress da regali, la Regione ci riprova


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
29/12/2017 alle ore 14:00

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Un passo falso, anzi due. E adesso, con un emendamento di fine anno, confidando nella distrazione natalizia, nei panettoni e nello stress da regali, la Regione ci riprova: il 21 dicembre scorso ha approvato la nomina del secondo commissario dell’Aric. Mettendo il cappello sulla Centrale unica degli appalti.

“Nelle more della riorganizzazione strutturale e funzionale dell’Agenzia, il presidente della giunta regionale individua, con proprio decreto, un commissario straordinario col compito di insediare e rendere operativa l’Aric in relazione alle nuove e ulteriori funzioni ad essa attribuite dalla presente legge, senza interferire con le normali modalità di funzionamento della struttura informatica”.

E’ il secondo commissariamento nel giro di un anno per l’Aric. Un compito delicatissimo, quello del commissario, che va a legare le mani all’attuale direttore generale Sandro Di Minco (che comunque resterà in carica), una volta nelle grazie di D’Alfonso ed evidentemente ora non più.

Delicatissimo, proprio così: il commissario dovrà occuparsi della “costituzione e dell’insediamento della centrale unica di committenza, della stazione unica appaltante e del soggetto aggregatore regionale”. Insomma, della famosa centrale che dovrà gestire tutti gli appalti della Regione, di tutte le Asl e di tutti gli enti pubblici: milioni e milioni di euro.

Logico che ci voglia una persona di fiducia. Di grande fiducia.

Adesso però occorre una modifica del regolamento, perché inizialmente non era prevista la figura del commissario, proprio per niente. E non dovrà essere fatta, come sarebbe logico, dall’Agenzia stessa, così come previsto dal comma 3 dell’articolo 3 della legge di istituzione della centrale unica, ma guarda un po’, “dalla giunta regionale su proposta del direttore generale della Giunta, sentito il commissario straordinario e sulla base del piano operativo riguardante la programmazione dei fabbisogni redatto a cura del medesimo commissario”.

Insomma, farà tutto la Regione, che con una nuova apposita modifica alla legge, si attribuisce i poteri di vita e di morte sulla stazione unica appaltante.

Alla povera Agenzia toccherà solo il compito di pagare lo stipendio del commissario e anche quello di assumere “le unità di personale necessarie a dare piena operatività alla struttura”.

Tutto regolare? Tutto molto ingarbugliato: il fatto è che la Regione un commissario già ce l’aveva, e lo aveva nominato in fretta e furia due anni fa, suscitando un apriti cielo e scatenando interrogazioni ed esposti all’Autorità anticorruzione: Paolo Menduni, un pensionato, quindi una nomina in contrasto con la legge Madia. In sovrapposizione a Di Minco.

Il famoso soggetto aggregatore, istituito con la legge del 27 settembre 2016, nel frattempo però era rimasto al palo.

Anche se la Regione ha assunto e continuato a pagare i consulenti. Infatti la Giunta non perse tempo a fare il bando per assumere tre figure professionali di supporto al nuovo commissario: pochi giorni dopo l’approvazione della legge, il 3 ottobre del 2016, erano già pronti i nomi per tre contratti Cococo, Federica Evangelista (una delle dipendenti regionali che fa il dottorato in sovrannumero all’Unite), compenso lordo 70 mila euro, Roberta Di Biase (consigliere nel cda della Saga e sorella di Vittorio Di Biase, il responsabile del Genio civile interrogato nell’inchiesta Pescaraporto), 35 mila euro, Massimo Speca (figlio dell’ex presidente del Tar di Pescara), altri 35 mila.

E il nome del nuovo commissario-bis dovrebbe essere pescato proprio tra quello della stessa Evangelista e quello di Giancarlo Misantoni, dirigente del Genio civile indagato nell’inchiesta su Palazzo Centi.

Insomma, nulla di nuovo sotto il sole mentre le spese lievitano a vista d’occhio. L’Agenzia per la verità è davvero ridotta male a causa di carenze di organico e di insufficienze finanziarie.

Ma a legarle mani e braccia è stata proprio la Regione: quel poco che avrebbe potuto fare non l’ha fatto perchè da D’Alfonso & c. era partito l’ordine di non fare nulla, di non spendere: “I 510 mila euro di anticipo previsti dalla legge istitutiva dell’Aric è meglio che restino in banca”, l’ordine fatto arrivare a Di Minco qualche mese fa, è stato quello di tenere tutto fermo nel cassetto, e di non utilizzare le risorse neppure per spese “avente carattere di necessità e straordinarietà”. In attesa, ora è chiaro, del nuovo commissario bis.

ps: Che sommato a Di Minco, al commissario Menduni (che adesso non si sa che fine farà), con l’aggiunta dei nuovi consulenti che a loro volta si aggiungeranno a quelli già esistenti, costituiscono un bel poltronificio e un bello spreco di soldi.

 

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