Ventitré indagati, ventinove vittime e quasi dodici mesi da quel 18 gennaio in cui l'Italia intera si è fermata a sperare, incollata al televisore, che da quelle macerie potessero uscire tutti. Vivi. Di Rigopiano oggi riecheggiano lo sconforto, le lacrime, la rabbia e le colpe. Colpe, oggi, da verificare e da attribuire.
GLI INDAGATI E LE ACCUSE
Sono ventitré, tra sindaci, funzionari, dirigenti provinciali e regionali: gli inquirenti ipotizzano a vario titolo i reati di omicidio e lesioni plurime colpose per tutta la catena dei soccorsi, una catena evidentemente spezzata. Agli altri vengono contestati anche i reati di falso e abuso edilizio.
GLI INTERROGATORI
Undici mesi dopo la tragedia gli interrogatori del procuratore capo, Massimiliano Serpi e del sostituto Andrea Papalia. Lunghi interrogatori, alcuni si avvalgono della facoltà di non rispondere, altri affidano le memorie all'inchiostro. Qualcuno ha chiesto più tempo.
L'EX PREFETTO
Tre ore. Tanto è durato l'interrogatorio di Francesco Provolo che di fatto viene accusato di aver agito troppo tardi: "La documentazione che abbiamo consegnato riguarda l'effettiva avvenuta convocazione del centro di coordinamento soccorsi, già alle 10 della mattina del 16 gennaio e non il 18 a mezzogiorno come la Procura era stata indotta a sostenere fino a questo momento dalla documentazione in suo possesso".
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E' quanto comunica l'avvocato Giandomenico Caiazza, al termine dell'interrogatorio del suo assistito. "Abbiamo dato tutti i chiarimenti necessari, anche attraverso la produzione di documentazione che non era in possesso della Procura e che a nostro avviso chiarisce in modo definitivo la piena correttezza dell'operato del prefetto". Non si è presentata, invece, la dirigente della Prefettura, Ida De Cesaris in quanto la difesa ha chiesto più tempo per esaminare il materiale raccolto dalla Procura.
SERVE PIU' TEMPO
Antonio Di Marco, presidente della Provincia di Pescara, e di Paolo D'Incecco, dirigente del settore Viabilità e referente di Protezione civile della Provincia, hanno presentato istanza per chiedere un differimento degli interrogatori, al fine di approfondire le carte.
Assistito dall'avvocato Paolo Cacciagrano, Tino Chiappino, tecnico reperibile secondo il Piano di reperibilità provinciale, si è avvalso della facoltà di non rispondere, mentre «Mauro Di Blasio - responsabile del settore Viabilità - ha chiarito quello che doveva fare e cosa ha fatto effettivamente, ovvero ha spiegato che è stato tutta la notte sul territorio a prestare assistenza alla popolazione», ha detto il suo avvocato Gino Placido Pelliccia «Abbiamo chiarito le nostre funzioni, i nostri compiti e quello che dovevamo fare e noi diciamo che l'abbiamo fatto».
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Nero su bianco, invece, per il comandante della polizia provinciale Giulio Honorati consegnando ai magistrati una memoria spiegata dall'avvocato Vincenzo Di Girolamo che insieme all'avvocato Marco Pellegrini assiste Honorati «Il contenuto della memoria dimostra che le funzioni di Protezione civile, almeno dalla fine del 2016, non erano più in capo alla Polizia provinciale, e che il mezzo di cui Honorati avrebbe omesso la ricognizione funzionale e dunque l'individuazione del mal funzionamento, non faceva parte del parco macchine della Polizia provinciale, ma di quello del settore amministrativo, con la conseguenza che non era in capo alla Polizia provinciale o al comandante della Polizia provinciale il compito di farne la manutenzione, la ricognizione e gli altri adempimenti funzionali a renderlo efficiente».
Secondo la Procura nessuno di essi avrebbe adottato le necessarie misure affinché, si attivasse la fase di attenzione, di preallarme e infine di allarme. Ai cinque viene anche contestata la mancata attivazione della sala operativa di Protezione civile e la ricognizione dei mezzi spazzaneve con la chiusura al traffico del tratto di strada della Provinciale 8 che da Farindola risale fino a località Rigopiano.
I SINDACI E l'AMMINISTRAZIONE
Dal 2004 al 2009 Massimiliano Giancaterino è stato il primo cittadino di Farindola. Quel 18 gennaio insieme a una parte della sua terra se n'è andato anche un pezzo della sua vita: Alessandro Giancaterino, una delle vittime, era suo fratello. Insieme a lui sono indagati anche un altro ex, Antonio De Vico (1999-2004/2009-2014), l'attuale sindaco Ilario Lacchetta, il tecnico comunale Enrico Colangeli e al geologo Luciano Sbaraglia (questi ultimi tre non si sono presentati all'interrogatorio: per scelta degli avvocati che hanno chiesto una differita): devono rispondere della mancata adozione del nuovo piano regolatore generale del Comune di Farindola e della mancata convocazione della commissione valanghe, riunitasi l'ultima volta nel 2005.
LA COMMISSIONE
Perché l'ultima convocazione della commissione valanghe risale al 2005? Giancaterino ha ricostruito, assistito dagli avvocati Vincenzo Di Girolamo e Paolo Grugnale, tutti i passaggi necessari alla convocazione: il corpo Forestale competente sul territorio inviava il bollettino neve alla Prefettura; la Prefettura decifrava i dati contenuti e rilevava le località interessate dal possibile rischio valanghe che venivano invitate a convocare la commissione. Secondo Giancaterino, considerando che la Prefettura dopo il 2005 non ha più inviato al Comune di Farindola l'invito a riunirsi, c'era da ritenere che non si fosse più verificato un pericolo valanghe in quel distretto geografico. O se c'era stato, non è mai stato comunicato al Comune.
DEL ROSSO
Paolo del Rosso ha perso suo cugino Roberto in quel giorno nefasto; per lui parla l'avvocato Liborio Romito: «Se quel sito fosse stato indicato come a rischio, a seguito di quella Carte valanghe che avrebbe dovuto realizzare la Regione Abruzzo, la Del Rosso srl non avrebbe investito alcunché su quel sito, sia per il rischio valanghe e sia perché l'apertura sarebbe stata compromessa nel periodo invernale, non essendoci i numeri per reggere il finanziamento».
È indagato, in concorso con Antonio Sorgi, direttore della Direzione parchi territorio ambiente della Regione Abruzzo, e con il tecnico comunale Enrico Colangeli, per omicidio colposo, lesioni plurime colpose, falso e abuso d'ufficio, nel filone dell'inchiesta sul permesso rilasciato nel 2006 per la ristrutturazione del complesso alberghiero, quando l'area era soggetta a vincolo idrogeologico.
La Procura sospetta che i tre - in assenza di questa autorizzazione - permisero la realizzazione del nuovo resort, con annesso centro benessere, eludendo il pericolo di valanghe al quale il sito era esposto. Tuttavia non era più amministratore dal 2009 per via di incomprensioni con il cugino, ma era rimasto solo come socio.
Saranno ascoltati tutti. Tutti diranno la loro verità. Una verità che non servirà a cancellare quel 18 gennaio 2017, il giorno in cui l'Italia intera è rimasta con il fiato sospeso, ma che oggi chiede giustizia.