Perché anche Renzi tifa per l'election day chiesto da Berlusconi


Non trattandosi del Rigoletto di Verdi ma di voto politico, marzo o maggio pari non sono



Marzo o maggio sono le date possibili. Ma non si può dire che pari sono. Soprattutto se si parla di elezioni e non di opera lirica. No, marzo o maggio non è la stessa cosa. Cosicché la data del voto è adesso il problema. Anzitutto per Mattarella che dovrà sceglierla. E per Berlusconi che sta provando, a modo suo, a non subirla.

In principio è stato il 4 marzo. Ed ancora adesso la prima domenica del marzo 2018 sembra favorita. Ma, e c'è sempre un ma nelle cose della politica, quando si pensò a quella data non era stata ben valutata la possibilità che il Cavaliere potesse uscire trionfante dalla sentenza del tribunale di Strasburgo. Fatto che una consistente somma di indizi assicura, adesso, essere più che probabile. Si ragionava cioè di un Berlusconi padre nobile della coalizione di centrodestra, supervisore ma non attore direttamente protagonista.

E dall'altro lato del campo, anzi, da un altro lato del campo che con i grillini in mezzo è diviso in tre spicchi, pure Renzi si era accucciato sulla possibilità di marzo anche come strumento di pressione sulla sua sinistra. Nel volgere di qualche ora tutto però è cambiato. L'udienza pubblica della corte europea che sta decidendo sul ricorso presentato contro la legge Severino che l'ha cacciato da Palazzo Madama ha mostrato quanto pertinenti e centrati siano stati i rilievi della difesa di Berlusconi dinnanzi alle abborracciate e discutibili spiegazioni fornite ai giudici dall'avvocatessa che rappresenta lo Stato italiano.

Retroattività e disparità di giudizio con casi analoghi più voto a maggioranza politica hanno evidentemente instillato più di un dubbio tra i togati europei chiamati a decidere. Berlusconi l'ha capito. E si è mosso. Ha subito sollecitato responsabilità e toccato il tasto sempre sensibile del risparmio economico per chiedere lo slittamento della data.

E così ha fatto arruffare Salvini. Non trattandosi del Rigoletto di Verdi ma di voto politico, marzo o maggio pari non sono. E il leghista lo sa. A marzo il Cavaliere sarebbe solo il padre nobile delle coalizione, a maggio rischierebbe di trovarselo tra i piedi, direttamente impegnato, e perciò ancor più trainante per Forza Italia. Un macigno sulla possibilità di competizione interna allo schieramento che lo stesso Salvini ha più volte auspicato e sulle sue reiterate ambizioni da leader.

Ma c'è di più. C'è che la tempistica della sentenza di Strasburgo su Silvio Berlusconi comincia a condizionare il confronto politico anche a sinistra. Matteo Renzi ha bisogno di tempo. Per recuperare credito e consenso. Per sparigliare o almeno per provarci. Non alla sua sinistra, ma al centro. Per provare cioè a mettere in campo e guidare quel Pd che, come gli ha spiegato Francesco Rutelli, non può più continuare ad essere -sempre e solo- la somma di ex dc di sinistra e ex comunisti malinconici. Serve tempo a Renzi.

E perciò ecco l'attenzione all'idea del Cavaliere. Marzo o maggio pari non sono, già: meglio maggio. Meglio election day, che è cosa più europea, più moderna, più risparmiosa e -va da se- più conveniente.

Per entrambi. Per Silvio e per Matteo. Che potranno pure scontrasi in un collegio elettorale a scelta. Per poi incontrarsi in Parlamento.

 

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