#ThePlace (Regia: Paolo Genovese. Con: Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Alba Rohrwacher, Vittoria Puccini, Rocco Papaleo, Silvio Muccino, Silvia D’amico, Vinicio Marchioni, Alessandro Borghi, Sabrina Ferilli, Giulia Lazzarini. Genere: Drammatico, Fantasy)
Prima regola: non andate a vederlo chiedendovi (o chiedendo dopo il film ai vostri compagni di cinema) se vi è piaciuto più o meno di “Perfetti sconosciuti”. Già. Perché l’arte va sottratta all’umiliante esercizio del paragone, che sminuisce sia quello che è stato fatto prima che le evoluzioni successive.
Se siete giustamente, così, predisposti e cioè senza pregiudizi non cascherete nella trappola dei critici “a prescindere” che, sono convinta, si aspettavano la classica commedia italiana con temi attuali sì, ma non troppo complicata; ed invece si sono trovati davanti i migliori attori del cinema nostrano ad interpretare un soggetto non semplice da codificare.
Direte: il regista ha solo trasposto in salsa romana (il film è ambientato nel quartiere Appio Latino, lo stesso dove è nato Totti: non vi dico altro!) la serie televisiva, non ancora proiettata in Italia (ma quasi, su Netflix, a giorni) “The booth at the end”. Dove un personaggio misterioso, intorno al quale ruotano tutti gli altri, pone la domanda: fino a dove sei disposto ad arrivare per ottenere ciò che desideri?
Qui, nel film di Genovese, il personaggio misterioso è Mastandrea. Ed è davvero perfetto in questo ruolo. Tra il distaccato e il sofferente. Con in più quell’ingrediente di romanità che certamente manca al protagonista americano. Non vi dirò nulla della trama, perché non c’è una trama. Ci sono dei temi, sì, di cui parlare per un bel po’ di tempo, dopo avere visto il film. Parlare. Parlare e solo parlare. Senza nessun filtro tra gli occhi e la voce, vis a vis.
Noterete la completa assenza di smartphone e in generale di dispositivi elettronici nel racconto. Quella che impedisce ormai, davvero, il dialogo tra le persone. Il tema centrale per me è quello del libero arbitrio: ho scoperto solo dopo averlo pensato che lo aveva detto anche il regista. “C’è qualcosa di terribile in ognuno di noi e chi non è costretto a scoprirlo è molto fortunato”, la frase del film per me.
Insomma: chi è Mastandrea? Di cui nemmeno si conosce il nome. Per me, un intermediario. Io l’ho visto come un angelo custode. E voi? La cosa più bella di questo film è che è come un humus. Genera discussione. Ed è incentrato sul tema della scelta. La scelta ed il libero arbitrio. L’uomo, quindi. Cosa pretendere di più dal tanto vituperato cinema italiano?
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