E' in arrivo l'equo compenso per tutti i professionisti italiani, che appartengano agli ordini professionali o meno. La commissione Bilancio del Senato ha dato il via libera all'emendamento che inserisce il principio nel decreto fiscale collegato alla manovra, estendendolo dai soli avvocati che svolgono prestazioni a vantaggio di banche, assicurazioni e imprese - come nella formulazione originaria - a tutti i professionisti che operano nel paese.
Il provvedimento riguarderà sia i rapporti tra privati che quelli con la pubblica amministrazione. Il decreto scade il 15 dicembre e adesso dovrà essere esaminato dalla Camera.
A Montecitorio occorrerà limare alcuni aspetti, riguardanti soprattutto l'attuazione delle regole, a partire ad esempio dalle modalità di applicazione alle professioni non regolamentate. In Abruzzo gli ordini professionali accolgono con favore la misura del Governo, rimarcando le difficoltà sperimentate dalle rispettive categorie negli ultimi tempi e sottolineando l'importanza di dare vita ad un sistema di tutele.
ImpaginatoQuotidiano ha raccolto i pareri del presidente dell'Ordine degli avvocati di Pescara, Donato Di Campli, del massimo esponente dell'Ordine dei dottori commercialisti dell'Aquila, Ettore Perrotti, e del segretario regionale dell'Ordine dei giornalisti abruzzesi, Stefano Pallotta.
DI CAMPLI: "PROVVEDIMENTO NECESSARIO SOPRATTUTO PER I GIOVANI"
Il presidente dell'Ordine degli avvocati di Pescara accoglie con favore "una norma necessaria, che tutela soprattutto gli avvocati giovani, che non hanno alcun peso contrattuale rispetto ai committenti più grandi".
Il testo originario faceva riferimento esclusivamente ad imprese, banche e assicurazioni. "Le ultime due categorie impongono clausole vessatorie e compensi irrisori ai professionisti - rimarca Di Campli -. Ben venga, però, l'estensione del provvedimento a tutti i professionisti, con particolare riguardo ai rapporti con la pubblica amministrazione". Il massimo rappresentante degli avvocati pescaresi cita alcuni esempi. "Esistono convenzioni, come nel caso delle assicurazioni, che prevedono importi davvero minimi, pari a due o trecento euro, per la durata di tutto il procedimento - dice il presidente dell'Ordine -. Tutto questo svilisce la nostra professione, rendendola pari a zero sul piano della contropartita economica".
L'equo compenso servirà a sanare ulteriori incongruenze. "Ci sono clausole che prevedono anticipazioni di spese a carico del professionista - prosegue Di Campli - e altre che stabiliscono che, in caso di condanna della controparte al rimborso delle spese, le somme vadano direttamente al cliente, con l'avvocato che viene pagato come da convenzione. Accade quindi che il giudice liquidi a favore di una banca 3.000 euro a titolo di compenso e che l'avvocato percepisca solo 300 euro, perchè la convenzione prevede quell'importo - riferisce il presidente dell'Ordine -. Dunque la banca lucra sull'attività del professionista, perchè viene rimborsata di un costo che non ha mai sostenuto".
In definitiva, per Di Campli, "finalmente si ristabilisce un binario di parità e si garantisce un minimo di tutela, a quelle che ormai sono categorie deboli, perchè al di là della considerazione sociale di cui godono, i professionisti oggi sono esponenti di categorie deboli, sia a livello economico che sul piano delle tutele".
PERROTTI: "BENE LA NORMA, MA E' IL MERCATO A FARE LA DIFFERENZA"
Più scettico il presidente dell'Ordine dei commercialisti dell'Aquila, che giudica positivamente l'equo compenso, ma esprime perplessità sulle capacità della norma di incidere a fondo sulla condizione dei professionisti italiani. "E' un provvedimento che è stato richiesto con forza dalla base e da tutti i professionisti, dunque la mia valutazione non può che essere positiva, tenuto conto che oggi i professionisti, nella scala delle priorità, sono relegati tra gli ultimi della classe - premette -. Però è difficile dire cosa cambierà, perchè sarei troppo ottimista nel pensare che con l'equo compenso, all'improvviso, le condizioni dei professionisti mutino in modo repentino. Sicuramente dovremo essere anche noi professionisti a stare maggiormente sul mercato perchè a dispetto dell'equo compenso, la differenza la farà sempre il mercato e misure come l'equo compenso dovrebbero rappresentare soltanto un di più per la nostra attività professionale".
La parte della norma che riguarda i rapporti con la pubblica amministrazione potrebbe però andare ad incidere su situazioni che, in molti casi, stanno diventando realmente insostenibili.
"Sta accadendo, sempre più spesso, che soprattutto gli enti locali cerchino di fare spending review sugli incarichi dei collegi sindacali, pensando che riducendo i compensi ai revisori, quindi a professionisti in larga parte dottori commercialisti, possano risolvere i loro problemi di bilancio - rileva Perrotti -. Non si capisce, invece, che il ruolo dei revisori nei collegi sindacali, negli enti strumentali e nelle partecipate, è un ruolo fondamentale, un ruolo di controllo che aiuta la governance a migliorare quelli che sono i costi della pubblica amministrazione, che in ogni caso non devono ricadere sui compensi dei professionisti".
Il massimo esponente dei commercialisti aquilani cita inoltre il caso del bando del Comune di Catanzaro, che riconosceva un compenso simbolico di 1 euro per il professionista interessato: "Non si può continuare ad assistere a casi come questo, che poi inevitabilmente inducono a porsi domande sulle reali ragioni che spingono un professionista a prestare la propria opera, per la programmazione di un piano regolatore, con un compenso pari a zero".
Per Perrotti, però, i problemi non finiscono con l'equo compenso. Soprattutto per i più giovani, "che incontrano barriere insormontabili all'ingresso e che, soprattutto a causa dei costi fuori portata, difficilmente riescono a stare sul mercato. Inoltre c'è tanta concorrenza - conclude il presidente dell'Ordine dei commercialisti aquilano - sia all'interno della categoria che, purtroppo, fuori dai nostri confini, dove operano i cosiddetti abusivi, ovvero coloro che non sono iscritti ad un ordine professionale, ma ai quali lo Stato permette di svolgere attività similari".
PALLOTTA: "NOI PARTITI PER PRIMI, SPERIAMO DI NON ARRIVARE ULTIMI"
La categoria dei giornalisti è stata la prima a mobilitarsi, quatto anni fa, per chiedere l'introduzione di una norma sull'equo compenso, sulla scorta della vertiginosa precarizzazione che ha investito la professione: in base agli ultimi dati il 65% degli iscritti all'Ordine dei giornalisti è precario o disoccupato e l'80% ha un reddito che non supera i 10mila euro.
"Siamo partiti prima di qualsiasi altra categoria con la richiesta di una norma sull'equo compenso e tre anni fa ci fu l'approvazione di una legge, peraltro voluta fortemente da Giovanni Legnini, che all'epoca era sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all'Editoria e che mostrò di avere recepito il grido di dolore che arrivava dal mondo dell'informazione e dai giovani precari - ricorda Stefano Pallotta -. Il problema è che la partenza precoce non è approdata ad una giusta commisurazione dell'equo compenso, tanto che poi l'Ordine nazionale, di fronte all'accordo che ci fu nella commissione tecnica, che prevedeva tra l'altro la partecipazione degli editori ma anche del sindacato dei giornalisti, decise di impugnare davanti al Tar questa commisurazione che non andava oltre i 500 euro lordi, con il Tar che bloccò il provvedimento ritenendo incongruo quel compenso".
Ora l'emendamento approvato in commissione Bilancio al Senato potrebbe riaprire i giochi. "Dopo la bocciatura del Tar le organizzazioni di categoria hanno sostanzialmente lasciato cadere il discorso sull'equo compenso - sottolinea il presidente dell'Ordine dei giornalisti abruzzesi -. Spero che questo nuovo impulso legislativo, in qualche modo, ridia spessore a quella proposta e mi auguro che non finisca per dare impulso agli altri e non a noi che, partiti per primi, rischiamo di arrivare per ultimi".
Ad ogni modo, per Pallotta, l'equo compenso è utile ma non risolutivo. "Il problema del precariato non può essere relegato solo all'equo compenso e ritengo debba essere contenuto in una norma del prossimo contratto nazionale di lavoro dei giornalisti, perchè diversamente non ne usciamo - conclude il massimo rappresentante dei giornalisti abruzzesi -. La precarizzazione dei giornalisti deve assolutamente trovare uno sbocco normativo nella contrattazione collettiva, perchè diversamente, se i giornalisti non se ne fanno carico nella sua complessità e drammaticità, probabilmente gli editori metteranno ben presto in discussione anche la stessa contrattazione collettiva, poiché avendo un esercito di riserva come quello dei precari, non contrattualizzati, non avranno alcun interesse a fare contratti da capo servizio o da capo redattore, quando esiste questo serbatoio così ampio di giovani che sono più bravi, più preparati e più colti rispetto alla generazione passata, che parlano le lingue, sono digitali e sanno usare gli strumenti".
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