Enzo Biagi 10 anni dopo: ecco quanto ci manca la sua indipendenza


Il ricordo delle firme abruzzesi Mastri (Messaggero), Barone (Tgr), Guidobaldi (Ansa) e Anchino (Il Centro).


di Stefano Buda
Categoria: ABRUZZO
08/11/2017 alle ore 18:04

Tag correlati: #abruzzo#ansa#biagi#giornalismo#guidobaldi#impaginatoquotidiano

Partigiano durante la guerra, cronista in gioventù e giornalista d'inchiesta in età matura. Successivamente diventa un punto di riferimento della televisione pubblica in Italia. La sua striscia quotidiana di approfondimento "Il Fatto", trasmessa dopo il tg della sera su Rai 1, nel 2002 gli vale un pesante attacco da parte dell'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. In seguito a quello che verrà ricordato come l'editto bulgaro - poiché arrivato nel corso di una visita ufficiale del premier a Sofia - è costretto a lasciare la Rai, dove avrà modo di fare ritorno soltanto nell'aprile del 2007.

Pochi mesi dopo, all'età di 87 anni, Enzo Biagi passa a miglior vita. Oggi, nel decennale della sua scomparsa, ImpaginatoQuotidiano ricorda uno dei grandi maestri del giornalismo italiano, unanimemente considerato come simbolo di indipendenza e libertà, ragionando sulla sua eredità umana e professionale con alcuni dei principali esponenti del sistema dell'informazione abruzzese.

 

INDIPENDENZA E LIBERTA'

"E' stata e resta una figura di riferimento per tutti noi che facciamo questo mestiere - dice Piero Anchino, neo direttore del quotidiano Il Centro -. Un esempio in termini di autorevolezza e pacatezza, e per la straordinaria capacità di lanciare i messaggi giusti. Per me che sono cresciuto professionalmente nella sua epoca, è stato un modello da seguire e non posso che essergli grato - aggiunge - E' una figura infinita, che ci aiuta a guardare con ottimismo ad un mestiere che resta bellissimo e che lui ci ha insegnato a svolgere nel modo giusto, sempre con la schiena dritta".

Elisabetta Guidobaldi, caporedattore centrale dell'Ansa Abruzzo, considera Biagi "un paladino della libertà d'espressione e del diritto di cronaca, oltre che un maestro nel racconto dei fatti. Ha intervistato alcuni dei più grandi personaggi al mondo - rimarca - e non ha mai avuto paura di esprimere i suoi punti di vista, arrivando a pagare di persona con il famoso editto bulgaro".

Sulla stessa lunghezza d'onda Silvano Barone, caporedattore centrale del Tgr Rai Abruzzo. "Biagi è un esempio di giornalismo indipendente, una voce vicina alla gente e lontana dal potere, che ha svolto nel modo migliore la funzione del giornalista, quella di cane da guardia del potere - dice il giornalista Rai -. E' una figura che rappresenta un modello per tutti i colleghi, ma anche per i cittadini, e l'eredità che ci ha lasciato è legata essenzialmente al giornalismo indipendente, alla ricostruzione dei fatti senza condizionamenti e volta alla ricerca della verità".

Paolo Mastri, caposervizio del quotidiano Il Messaggero a Pescara, ritiene che Biagi sia "un maestro della nostra professione, proprio per questa sua caratteristica di essere sempre riuscito a stabilire un grande feeling con il suo pubblico, facendo un giornalismo fisicamente sussurrato e senza bisogno di alzare i toni".

Mastri ricorda una frase di Biagi, che ricorre spesso anche nei trailer televisivi degli speciali commemorativi: "In fondo l'unica cosa che so fare è raccontare storie". A giudizio del giornalista de Il Messaggero, "in questo che può sembrare un proposito minimale, c'è tutto il contenuto e il bisogno di libertà di Enzo Biagi, un bisogno che serve per esercitare questa professione in maniera utile alla società e alla pubblica opinione. Quest'uomo - conclude - che inevitabilmente associamo ad un carattere riflessivo e a un giornalismo sussurrato, fondamentalmente era un uomo che con esercizio di libertà è riuscito a dare molto più fastidio al potere rispetto ad altri, fino ad ingaggiare un conflitto insanabile".

 

UN GIORNALISMO SUSSURRATO

Quel "giornalismo sussurrato" evocato da Mastri, per Barone rappresenta "la strada che noi tutti dovremmo continuare a seguire. Il nostro mondo oggi è imbarbarito - nota il caporedattore centrale del Tgr Rai Abruzzo -. Per inseguire l'audience e vendere i giornali, troppo spesso si è disposti a tutto, con il risultato che ci troviamo ad operare in un circo mediatico fuori controllo. Biagi ha dimostrato che un'altra strada è possibile e che è possibile realizzare inchieste scomode e di qualità, e al tempo stesso mantenere toni pacati".

Anchino considera "straordinaria la capacità con cui Biagi riusciva a raggiungere un'ampia cerchia di pubblico, con parole semplici e misurate, ma sempre efficaci e pungenti".

Secondo Mastri, però, "i modelli sono difficilmente replicabili in epoche diverse. Penso rimanga questa grande lezione che ogni giorno di più vale come monito, anche se il sistema dei media, sul piano dei linguaggi, va da un'altra parte - prosegue il caposervizio de Il Messaggero -. Ad ogni modo il racconto non è morto, così come non sono morte la capacità di raccontare e la capacità di usare bene i mezzi, anche i nuovi mezzi, sui quali la comunicazione può fare conto". In definitiva, a giudizio di Mastri, "non è finita con Biagi, che si inserisce nel pantheon ideale dei grandi maestri del Novecento, il secolo in cui il giornalismo italiano si è definitivamente strutturato, ma che oggi registra la presenza di altri maestri a colori".

Una chiave di lettura in sintonia con quella fornita da Guidobaldi. "I tempi sono cambiati e al di là della spettacolarizzazione delle notizie, che pura ha una sua presa, ci sono nuovi mezzi, nuove forme e nuovi linguaggi, con i quali il sistema dell'informazione deve fare i conti - dice -. Su questo piano, dunque, non c'è modo di tornare indietro, mentre dal passato e da maestri come Biagi occorre prendere a modello la sostanza".

 

POLITICA, EDITORI E INFORMAZIONE: UN RAPPORTO DIFFICILE

La vicenda professionale di Biagi ha finito per cristallizzare alcune delle principali criticità legate ai rapporti tra editoria, politica e informazione. Nodi che restano irrisolti e che vanno ben al di là dell'ormai famigerato editto bulgaro, che nel 2002 colpì Biagi, Santoro e Luttazzi.

Anchino pone in rilievo "la grande capacità di Biagi nel riuscire a convivere con le pressioni che è stato costretto a ricevere, senza mai subirle, senza mai farle percepire, senza mai ostentarle e senza mai scadere nel vittimismo".

Pressioni concretizzatesi in "attacchi, critiche ed editti - evidenzia Barone - che raccontano di un uomo che non si è fatto mai condizionare e che ha tenuto sempre la schiena dritta davanti al potere. In Italia il vero problema è la mancanza di editori puri, tra la Rai che è condizionata dal parlamento, e altri canali televisivi e mezzi d'informazione che subiscono l'influenza di grandi poteri - prosegue il caporedattore centrale del Tgr Rai Abruzzo -. L'unico argine è rappresentato dalle scelte di ogni singolo giornalista che, con le necessarie tutele contrattuali, ha il dovere di mantenere sempre la schiena dritta".

Guidobaldi osserva come il "rapporto problematico tra politica e informazione, in alcuni casi, non sia mai stato superato, neanche dopo il famoso editto bulgaro. Non credo sia un problema di mancanza di editori puri, perchè anche in presenza di editori non puri si può fare del buon giornalismo. Manca, invece, la capacità di porsi rispetto alla professione e rispetto al lettore, e manca la curiosità da parte di coloro che si approcciano alla professione, perchè nel giornalismo, come insegnava proprio Biagi, le domande sono importanti ed è dalle domande giuste che nascono le notizie".

Secondo Mastri, "in Italia scontiamo sicuramente un'invadenza della politica, nel campo radiotelevisivo in maniera diretta e nel resto del sistema dell'informazione in maniera più indiretta. Il fatto che non esistano editori puri, di per sé, non sarebbe un problema - prosegue il giornalista de Il Messaggero -. Il problema, invece, è che gli editori impuri hanno interessi prevalenti in ambiti economici a loro volta dipendenti dalla politica". Infine Mastri ritiene che il giornalismo italiano sconti "un peccato originale, che è quello di non nascere come strumento di controllo, sul modello della tradizione anglosassone, ma in pieno Risorgimento, in maniera funzionale alla diffusione di idee e propositi politici".

 

twitter@ImpaginatoTw