Che succede se si alza l'età pensionabile? Parlano Ranieri (Cgil) e il sindaco Biondi


Cosa pensano il sindacalista e il primo cittadino dell'Aquila sulla decisione del governo che tanto fa discutere


di Stefano Buda
Categoria: ABRUZZO
02/11/2017 alle ore 20:45

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A fine anni Novanta la sinistra italiana agitava lo slogan "lavorare meno, lavorare tutti". A meno di un ventennio di distanza, le politiche del centrosinistra renziano potrebbero essere riassunte in parole d'ordine di segno opposto: "lavorare in pochi, lavorare tanto e lavorare sempre più a lungo".

Basta dare un'occhiata ai provvedimenti inseriti nella nuova legge di Bilancio, che da pochi giorni ha iniziato il suo iter parlamentare: spicca l'innalzamento dell'età pensionabile a 67 anni e di misure a sostegno dell'occupazione giovanile se ne vedono ben poche. In sostanza gli anziani dovranno lavorare fino allo stremo delle forze e i giovani, disoccupati nel 35% dei casi, vedranno elevarsi ulteriormente il muro che li separa dalla speranza di subentrare.

 

LAVORARE FINO A 67 ANNI

L'aumento dell'età pensionabile è determinato dalla riforma Fornero, che aggancia l'adeguamento dell'età per ritirarsi dal lavoro alle stime sull'aspettativa di vita. L'Istat recentemente ha reso noto che l'aspettativa di vita degli italiani è cresciuta di cinque mesi rispetto al 2013 e dunque, a partire dal primo gennaio 2019, si andrà in pensione a 67 anni e non più a 66 anni e 7 mesi come avviene oggi. La riforma prevede che la soglia dell'età pensionabile venga aumentata a partire dal 2019 con un provvedimento del Governo, in mancanza del quale l'innalzamento scatterebbe automaticamente a partire dal 2021. 

Il Governo, in realtà, avrebbe la facoltà di intervenire per bloccare l'automatismo e nei mesi scorsi numerosi esponenti politici e sindacali, da destra a sinistra, avevano sollecitato un intervento in tal senso. L'esecutivo, però, finora ha preferito tirare dritto. Fino ad ora, perchè adesso il centrosinistra si trova a gestire una patata bollente, considerato che siamo in pieno clima pre-elettorale e che tra pochi mesi si andrà alle urne.

Negli ambienti della maggioranza, dunque, si cerca una via d'uscita e si è iniziato a ragionare sull'ipotesi rinvio. Diversi emendamenti al decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio sono stati presentati a palazzo Madama sia da parlamentari del Pd che da membri dell'opposizione, con l'obiettivo di far slittare al prossimo giugno il termine entro il quale il Governo dovrà decidere l'adeguamento dell'età pensionabile. In questo modo sarebbe il prossimo esecutivo a farsi carico del provvedimento e la maggioranza si terrebbe al riparo da rischiose emorragie di consenso.

Se sfumasse il rinvio, è già pronto un piano alternativo, mirato a ridurre l'impatto della decisione, escludendo dall'innalzamento dell'età pensionabile undici categorie, comprendenti maestre di asilo nido e di scuola materna, infermieri con turni notturni, macchinisti, camionisti, gruisti, muratori, facchini, badanti, addetti alle pulizie, alla raccolta dei rifiuti e alla concia delle pelli. La partita, comunque, è ancora alle battute iniziali. C'è già stato un primo incontro tra Governo e sindacati che - come prevedibile - è risultato interlocutorio.

 

UNA MANOVRA NEL SEGNO DELLA CONTINUITA'

La legge di Bilancio del governo Gentiloni, che vale 20,4 miliardi di euro, in realtà presenta margini molto stretti, considerando che oltre 15 miliardi serviranno per congelare l'aumento dell'Iva. Il resto è poca roba e quasi tutta nel segno della continuità con le politiche del governo Renzi: torna il jobs act, con il bonus assunzioni per i giovani under 30, che prevede uno sgravio del 50% per i primi tre anni di contratto a tutele crescenti, con tetto annuo di 3.000 euro. Lo sgravio varrà solo per gli under 30, mentre unicamente nel 2018 riguarderà anche gli under 35.

Una misura che sembra ignorare come i 18 miliardi di incentivi voluti negli anni scorsi da Renzi, con l'obiettivo di rendere i contratti di lavoro a tempo indeterminato la tipologia più diffusa, abbiano clamorosamente mancato l'obiettivo. Adesso che le risorse disponibili sono di gran lunga inferiori e lo sgravio risulta dimezzato rispetto al 2015, appare piuttosto improbabile che il provvedimento possa miracolosamente sortire gli effetti sperati. Senza contare che non è previsto un euro di incentivo per l'assunzione dei disoccupati tra i 35 e i 49 anni, nonostante in questa fascia di età si collochi oltre un terzo degli italiani privi di lavoro.

Poi la manovra impegna 300 milioni di euro per mantenere il bonus di 80 euro, prevede qualche altro bonus, come quello semestrale per le lavoratrici madri, e qualche altro sgravio, come quello a disposizione dei pendolari che acquistano un abbonamento ai mezzi pubblici.

"E' una manovra che non ci piace e non ci convince - tuona Carmine Ranieri, membro della segreteria generale della Cgil Abruzzo - poiché si concentra tutta su bonus, misure una tantum e provvedimenti di defiscalizzazione a favore delle imprese, proseguendo esattamente sulla stessa strada del jobs act, che non ha reso come sperato né in termini di occupazione né come moltiplicatore economico. Noi crediamo invece che le risorse vadano utilizzate per investimenti pubblici e privati, puntando sull'industria 4.0, sulle infrastrutture materiali e immateriali, sulla banda larga, sulla ricerca, sulla messa in sicurezza di strade ed edifici - prosegue Ranieri -. Solo così è possibile innescare un circuito virtuoso, in grado di creare lavoro vero e di fare da moltiplicatore economico".

Critiche arrivano anche da destra. "Si continua sulla scia del jobs act, che a mio giudizio rappresenta una cura sbagliata ad un male che esiste - dice il sindaco dell'Aquila, Pierluigi Biondi -. La logica è un po' quella dei primi anni Duemila, quando per rispondere al problema dei pochi laureati, si pensò di istituire il 3+2 nelle università, consentendo a più persone di fregiarsi del titolo di laurea. Il problema reale - sottolinea il sindaco - è invece quello di creare le condizioni per lo sviluppo e per l'occupazione".

 

ETA' PENSIONABILE PIU' ALTA D'EUROPA

L'Italia è già attualmente, senza il nuovo innalzamento della soglia, il secondo Paese europeo nel quale si va in pensione più tardi: è possibile godere del buon ritiro a 66 anni e 7 mesi nel caso degli uomini, e a 65 anni e 7 mesi nel caso delle donne. Solo in Grecia, dove in entrambi i casi non si può andare in pensione prima dei 67 anni, si smette di lavorare più tardi. In Spagna e Germania, invece, si va in pensione a 65 anni, in Francia a 62 anni, in Svezia addirittura a 61 anni. Se si allargano gli orizzonti, ci si accorge che se la passano meglio perfino in Turchia (pensione a 60 anni), Cina (60 anni), India (58 anni), Brasile (65 anni) e Argentina (65 anni). "Come dimostrano questi dati, esiste un problema di natura strutturale - commenta Ranieri - visto che non solo si va in pensione più tardi e nelle condizioni peggiori, ma c'è stato un ulteriore inasprimento dovuto alla legge Fornero".

Diverse le ragioni di disappunto da parte dei sindacati. "Un sistema così rigido, che manda in pensione così tardi, è anche uno dei motivi per i quali l'occupazione giovanile non cresce e si concentra in larga parte in una fascia d'età piuttosto alta - rimarca Ranieri -. Inoltre è vero che l'aspettativa di vita cresce, ma è vero anche che non tutti i lavori sono uguali. Ci sono persone che hanno la schiena rotta, che magari hanno lavorato per tanti anni nell'edilizia e che davvero non ce la fanno più ad andare avanti - prosegue l'esponente sindacale -. Ora si presta anche più attenzione alla sicurezza, ma i sessantenni di oggi hanno lavorato per una vita in condizioni particolarmente difficili e realmente usuranti".

L'aspettativa di vita, inoltre, aumenta, ma non per tutti e non per tutti alla stessa maniera. "I dati dimostrano - evidenzia Ranieri - che l'aspettativa di vita muta in funzione del lavoro svolto e del reddito accumulato".

 

I GIOVANI POSSONO ASPETTARE... O EMIGRARE

La manovra del Governo contiene provvedimenti che sembrano scontentare tutti, da destra a sinistra, dai sindacati alle imprese, dai giovani ai pensionati. In particolare non si osservano misure in grado di restituire un ruolo da protagonista alle ultime generazioni. Il fenomeno della fuga dei cervelli non è un esercizio di stile, ma una cruda realtà: i dati rivelano che gli italiani emigrati all'estero, negli ultimi dieci anni, sono aumentati del 54,9% e in 9 casi su 10 si tratta di persone in possesso di laurea. Significa che le menti migliori del Paese sono costrette a spostarsi altrove per ritagliarsi un posto nella società.

"Questi aumenti generalizzati dell'età pensionabile - concorda il sindaco Biondi - non tengono conto del lavoro svolto e non aiutano la tenuta sociale del Paese, continuando a comprimere il ricambio generazionale. Da tempo sostengo che l'Italia è una repubblica fondata sulla gerontocrazia - ironizza il sindaco -. Io a 43 anni mi sento dire spesso che sono un sindaco giovane, quando il primo ministro austriaco è un trentenne, mentre Blair e Zapatero sono diventati leader di governo più o meno alla mia età". Secondo Biondi "nella nostra nazione, ad ogni livello, ci sono tanti ricercatori, professionisti e giovani validi, che per sperare di ritagliarsi un ruolo sono costretti a lasciare il Paese".

Sulla stessa lunghezza d'onda l'esponente della Cgil, che avverte: "L'iter è ancora lungo e ci sono i tempi per mediare ma, come ha detto la nostra segretaria Camusso, lo sciopero non è un tabù".

 

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