Unire est e ovest è stato l'imperativo di Alessandro Magno. Mica di uno qualsiasi. Segno che l'idea, oltre che valida, è già stata seminata in passato. Quanto alla sua realizzazione nel centro Italia, fino ad oggi ci sono state solo sconfitte, ma pesanti. Nel tennis il 6-0, 6-0 rasenta l'umiliazione.
Oggi l'annuncio tra le autorità portuali adriatiche e tirreniche per il corridoio est-ovest è senza dubbio una buona notizia: se non fosse che di corridoi transeuropei, di intermodalità, di connessioni infrastrutturali, almeno in Italia, si parla da trent'anni ma poi non si realizzano.
Prima la crisi economica, poi i no-tav, poi le altre priorità, poi la questione del mancato raddoppio ferroviario fino ad arrivare al paradosso che per raggiungere Roma da Pescara meglio prendere l'auto o un bus low cost, perché il treno è roba da far ingrassare il fegato.
"La strategia della Regione Abruzzo cui lavoriamo da mesi circa la specializzazione dei nostri porti rispetto ai nuovi flussi, che dall'est e dal sud del mondo raggiungono la penisola iberica, diventa realtà”, dice Camillo D'Alessandro, consigliere regionale delegato ai trasporti. Non si aspetta davvero altro.
Ma attenzione: la questione non è risolvibile con annunci, promesse e tavoli romani (costante immutata e immutabile di una politica machiavellica, troppo stantìa e contradditoria). Il passo non è da fare in direzione di Roma, ma investe questa volta le regioni. Quante volte ci si è interrogati sul buco nero nei conti pubblici che le Regioni continuano a ingrassare nel nostro Paese? Debiti, finanziamenti Ue malamente sprecati, partecipate moltiplicate come pani e pesci, uffici di pregio (con annesse segretarie e fantomatici addetti stampa) dislocati a Roma come a Bruxelles, fino a sedi in altri continenti. Insomma, spulciando la lista delle spese di rappresentanza sembra quasi che le Regioni italiane siano una succursale della Farnesina o della Fao, per questo ci si aspettava da tutte loro molto di più.
Cosa in concreto? Vera internazionalizzazione, proficui e programmati rapporti con le nuove economie, reti infrastrutturali moderne e risolutive. E non altri ritardi, promesse, generiche prese di coscienza di problemi vecchi come il mondo. Come appunto il collegamento tra est e ovest del centro Italia.
Un vecchio saggio della politica italiana, Pinuccio Tatarella, già vicepremier e ministro delle Telecomunicazioni, diceva che in politica i tempi sono tutto. Una buona idea declinata nel nanosecondo sbagliato perde il suo succo.
Ecco: est e ovest del mondo sono state già unite dalla Via della seta cinese, dopo le conquiste di Alessandro Magno. E l'Italietta delle regioni rissose, delle giunte moltiplica-poltrone, dei ras locali con forbici e nastri in mano è maledettamente in ritardo. Ancora.
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