Quando guardo le discussioni che si sono scatenate intorno al caso della “famiglia nel bosco” di Palmoli, tre bambini tolti ai genitori dal Tribunale per i minorenni e trasferiti in comunità educativa in seguito a un provvedimento a tutela dell’incolumità e della vita relazionale dei minori, mi torna in mente una vecchia teoria che sembra scritta ieri, non nel 1895: la psicologia delle folle di Gustave Le Bon.
Le Bon spiegava che l’individuo, quando diventa parte di una massa, perde lucidità, si lascia trascinare dall’emotività, replica ciò che vede e sente senza approfondire. È come se la folla, digitale o fisica, gli disattivasse il pensiero critico. Ed è esattamente quello che vediamo oggi sui social, dove l’ipocrisia porta le persone a seguire il pensiero altrui prima ancora di sapere di cosa stanno parlando.
All’inizio la folla digitale si è schierata con la famiglia: meme, petizioni, indignazione, accuse ai giudici. Un coro unanime, ma disinformato. Pochi avevano letto l’ordinanza, quasi nessuno conosceva le ragioni tecniche dell’intervento. Ma perché fermarsi a capire, quando si può urlare più forte degli altri? Ecco l’ipocrisia: si abbraccia la narrativa più comoda, quella che fa sentire eroi nel salotto digitale di un click.
Poi il copione è cambiato. È bastato che il sindaco proponesse una casa comunale, una soluzione concreta, con acqua, servizi e un tetto abitabile, perché la solidarietà evaporasse.
D’improvviso i commenti sono diventati: «E a me chi la dà la casa?», «Perché loro sì?», fino ai prevedibili «ma sono stranieri». La stessa folla che qualche giorno prima difendeva a spada tratta la famiglia ora la giudicava, la misurava, la criticava. Non perché avesse acquisito nuove informazioni, ma perché era cambiata la temperatura emotiva del dibattito.
In questa velocità, in questo “schierarsi-difendere-attaccare-contraddirsi” continuo, vedo la forma più pura di ipocrisia sociale: la gente non cerca di capire, non verifica, non si documenta. Reagisce. Imita. Si adegua. Si rimette in fila nel pensiero del momento, come suggeriva già Le Bon più di un secolo fa.
Non che le carte non parlino chiaro: il provvedimento del tribunale descrive condizioni igienico-sanitarie insufficienti, assenza di servizi essenziali, mancata scolarizzazione e carenza di socializzazione per i minori. Sono elementi che, da soli, giustificano un intervento di tutela³. Ma tutto questo sui social diventa rumore di fondo: al pubblico interessa l’emozione, non la complessità.
Alla fine rimane un’amara consapevolezza: l’opinione pubblica digitale non è una conversazione, è un flusso emotivo. Una folla che cambia direzione al primo stimolo. Una comunità che si sente impegnata finché non c’è da pagare un prezzo reale. E allora sì: “chi urla più forte” continua a vincere la narrazione, mentre la verità resta in attesa, silenziosa.
E se siete ancora connessi, nel mondo moderno, per ora, continuate a leggerci.
Ci vediamo in un mondo senza Wi-Fi eventualmente.
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Gustave Le Bon, Psicologia delle folle (1895)
Famiglia nel bosco: sindaco offre casa, scatta il dibattito sui social”, ANSA / Abruzzo (25 novembre 2025)
“Famiglia nel bosco di Palmoli: motivazioni per l’allontanamento dei minori”, Il Fatto Quotidiano (21 novembre 2025)