Cara Lidl, non è così che farai più vendite, anzi. Il commercio, si sa, è l'anima di poleis e gentes. Le antiche città dell'Ellade quanto erano più inclini a scambi e a interlocuzioni, tanto più concorrevano a ritagliarsi una posizione di potere vero, e non effimere stagioni di prime pagine sui rotocalchi. Tanto per chiarire che l'iper protezionismo ha dei limiti oggettivi.
Ma il “rispetto di ogni sensibilità” che la catena invoca quando toglie dalle immagini pubblicitarie croci e simboli cristiani, cozza commercialmente con l'azione in sé perché si rivela un clamoroso autogol. Rispetto solo unidirezionale, a quanto pare. Una ripassata alla storia non farebbe male a grafici pubblicitari freschi di masters stellati, grandi strateghi di campagne e social influencer.
C'è un luogo a cavallo tra occiente e oriente, battezzato Costantinopoli, oggi Istanbul, dove prima dello stupro ideologico ottomano, c'era davvero il centro culturale (e anche economico) del Mediterraneo. Un ombelico vivace, frizzante e simbolo di convivenza di mondi e popoli. Commerci, scambi, interlocuzioni, dialoghi, scontri ma poi incontri: sul Bosforo si abbracciavano idealmente due lembi del mondo, e che lembi. Niente a che vedere, per intenderci, con le pacchianate emiratine di oggi o con le piccole Venezie scimmiottate a Las Vegas.
I nostri connazionali a Istanbul nel 1930 ammontavano a 30.000 unità. Una fetta significativa e di qualità della società italiana, trapiantata artisticamente e professionalmente lì grazie alle Repubbliche Marinare di Genova e Venezia, le prime a tessere relazioni di un certo rilievo. In Turchia si stabilirono mercanti e artigiani, con il massimo picco nell' 800 sotto il Regno d’Italia, con la nascita delle prestigiose istituzioni della Scuola Italiana, della Camera di Commercio, della Società Operaia e del Mutuo Soccorso, della Società Italiana di Beneficenza, fino al Circolo Roma e a Casa d’Italia.
Poi, da 30mila si passò drasticamente a 3.500 in virtù di una legge turca che impediva agli stranieri di esercitare il mestiere d’artigiano. Ecco, questa mossa ad escludendum diede avvio alla iper ottomanizzazione che, oggi, scorre nelle vene del dittatore Erdogan, passando per il massacro dei Greci a Smirne, la tragedia della Mikrì Asia, le pulizie etniche contro Ponti e Armeni. Ma siamo andati già troppo in là.
Ciò che sarebbe utile sottolineare è che la strategia dell'esclusione, da tutti i punti di vista, non porta plus ma ferite che non si chiudono. E vale nella politica come nel business, a maggior ragione oggi sotto il meltèmi della globalizzazione. Un passaggio troppo elementare per non essere compreso a fondo da chi, della comunicazione e dei messaggi, fa la propria mission.
Le croci tolte dalle foto a Camporoso (Imola) per "rispettare ogni sensibilità", così come quelle eliminate su alcune confezioni di cibi greci da cui spiccava la fantastica cupola blu cobalto dell'isola di Santorini (a cui era stata strappata appunto la croce) con il commercio non ha nulla a che vedere. Dimostra una sciatteria sociale, una oggettiva non conoscenza. Magari non è neanche colpa dei grafici, poverelli, che hanno scelto altri percorsi formativi, sacrificando quelli imprescindibili sull'altare del profitto rapido e della società 2.0 che tutto fagocita in un clic.
Più che manager d'assalto, tutti schizofrenicamente impegnati h24 a twittare e tagliare nastri con il vip di turno, forse alle aziende oggi servirebbero anche altre figure, diverse. Che corrano di meno e, perché no, che studino e pensino di più.
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