Apperò, Fulvio Di Carlo, Carlo Caione e Lanfranco Massimi, tre colonne del passato buone anche oggi per resistere sull’ultimo metro prima del baratro, resistere è l’importante ora, poi si vedrà.
Apperò tifosi e cittadini che li hanno voluti in quel ruolo, garanti di un contributo popolare che misura in primo luogo la voglia di tenere botta tutti insieme.
Apperò i giocatori che con dignità e orgoglio hanno reagito dopo la sconfitta più brutta in 81 anni di storia, quella patita senza poter neanche scendere in campo, e solo chi ha masticato fango e sudore può capire cosa significhi, ma tutti gli altri possono benissimo immaginarlo.
Apperò Vincenzo Troiani, la bandiera attuale, titolare di uno di quei cognomi che all’Aquila fanno rima con palla ovale, che con la sua lettera alla città (alla vigilia del derby di ieri vinto contro la Gran Sasso) tenta l’estrema chiamata alle armi per invertire la rotta e ripartire sul serio. Apperò che lezione dopo lo scontro fratricida tra le due società neroverdi che ha impedito all’Aquila rugby di iniziare regolarmente il campionato.
Il rugby ci vuole, dice Troiani nel modo diretto di chi gli ostacoli è abituato a prenderli di petto. Ci vuole perché serve alla prima generazione di giovani nata nel dopo terremoto per crescere in modo sano; perché serve a una comunità dispersa per ricostruire la socialità perduta; perché serve a onorare una tradizione gloriosa, ma soprattutto a darsi nuovi traguardi accettando le sfide del tempo presente.
Perché in definitiva che se ne faranno gli aquilani della loro città ricostruita se sotto le macerie dovesse rimanere anche il rugby. E stavolta vincere o perdere dipende solo da noi, dice in sostanza Troiani.
Non ci saranno colpevoli da cercare altrove, così come non ci sono salvatori della nostra patria rugbistica da cercare esplorando l’orizzonte. È la partita di noi aquilani e vincerla dipende soltanto da noi, a cominciare dalle categorie che in maniera naturale stanno cogliendo i primi frutti economici della ricostruzione, incalza l’allenatore.
Non è invidia sociale, è un dato di fatto. Apperò che coraggio, che ruvida franchezza nei gesti e nelle parole. Che differenza con meschinità, indifferenza, dispetti che hanno scandito la vergognosa corsa verso il baratro. Tommaso Fattori vi guarda: è una delle tante frasi scolpite su Facebook per esprimere incredulità e rabbia di questi giorni. Non è il solo. Vi guarda un intero pantheon di glorie del passato, campioni e dirigenti di pasta ben diversa.
Vi guarda l’Italia intera, memore di una tradizione cominciata quando i giornali sportivi favoleggiavano di “Inter della pallaovale tra le montagne d’Abruzzo”, non sapendo ancora bene cosa fosse quello sport oggi così popolare, ne’ come si chiamasse esattamente la sua capitale. In principio era il rugby: tutto il resto, dal Teatro stabile all’Università, a una tradizione scientifica culminata con il contributo dei laboratori aquilani alla ricerca vincitrice del Nobel per la fisica, è venuto dopo.
Per questo l’Italia intera vi guarda. E fa sempre più fatica a capire.