Che cosa è accaduto? Se lo chiede Hillary Clinton nel suo pamphlet “What happened” (Simon&Schuster) in uscita in questi giorni. Ma è chiaro a tutti che comunque, e al netto delle indagini su presunte intromisisoni di terzi nella scorsa campagna elettorale americana, qualcosa di sbagliato i Democratici l'abbiano fatto. E lo dimostrano i voti in massa del nord industriale giunti ai Repubblicani.
E a poco vale oggi per l'ex First Lady puntare su orgoglio e mea culpa: ci ha pensato l'ex vicepresidente Joe Biden nei giorni scorsi a imputare a Hillary di aver parlato poco di lavoro, provocando la stizza della signora che annuncia di non volersi candidare più, ma poi mette su un tour a pagamento (3000 dollari per una segggiola, si parte da Washington il 18 settembre) per spiegare agli americani il perché della debacle elettorale.
Quale la novità oggi? Ha due volti. Il primo riguarda la possibile futura leadership democratica, che andrà rivitalizzata proprio in questa fase di post-Hillary per giungere agguerrita alle elezioni di midterm. La seconda concerne “l'Obamacare” di Trump, ovvero la riforma fiscale che l'attuale amministrazione, con il braccio operativo del Segretario al Tesoro Steven Mnuchin, sta mettendo in campo pur tra mille difficoltà legate alle coperture effettive.
Sul primo punto va osservato come il clan Clinton continui ancora ad avere in mano la golden share del partito e non si vede all'orizzonte, nonostante gli annunci di questi giorni, una possibilità di sfilamento. Ma c'è un ma.
Un pertugio, in verità, l'ha aperto qualche giorno fa Le Figarò, gettando sul tavolo come anti Trump mister facebook. Mark Zuckerberg, secondo i francesi, avrebbe messo fra i suoi obiettivi a medio-lungo termine la candidatura alle prossime elezioni, con l'idea di vincere la corsa per la Casa Bianca, non di partecipare per arrivare secondo. Per cui è sempre più impegnato in incontri vis a vis con cittadini, grandi ragionamenti sui servizi e sui diritti, ammiccamenti che comunque hanno un tratto comune (solo uno) con l'attuale inquilino della Casa Bianca: l'immenso fiume di denaro disponibile.
Proprio Trump, venendo al secondo aspetto, è invischiato nella stessa palude in cui finì il suo predecessore con l'Obamacare. Mnuchin sta spingendo per portare a termine (e in fondo da un punto di vista dei numeri) la madre delle battaglie: l'abbattimento delle tasse. Una mossa riuscita in passato solo a Reagan, che produsse più investimenti che finanziarono la crescita, anche se a lungo andare influirono su un ammanco fiscale oggettivo. Il Segretario annuncia niente meno che la riforma vedrà la luce entro l'anno, ma ancora circolano bozze semiriservate sulle coperture e su una possibile via di mezzo tra la soglia promessa del 15% e quella attuale del 35% per le imprese.
Un compromesso legato al buon senso sarebbe l'unica soluzione per non allargare i tempi e, quindi, incidere sulle elezioni di medio termine che non solo i Democratici, ma anche gli stessi Repubblicani, guardano come un'oasi nel deserto.
Lo ha fatto trapelare (pare in modo niente affatto velato) il senatore McCain presente all'ultimo Forum Ambrosetti di Cernobbio (nonostante la nuova malattia che lo ha colpito). Uno che non usa giri di parole.
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