Cosa è cambiato da quell'11 settembre che ha destabilizzato gli equilibri mondiali di geopolitica e affari? Quanta percezione è davvero maturata, tanto negli Stati quanto nella gente, rispetto ad un atto di portata epocale i cui effetti, oggettivi e mentali, sono scritti a caratteri cubitali sui muri dei cinque continenti? Quale il peso specifico di depistaggi, svarioni, errori e sottovalutazioni?
L'abbattimento delle Torri Gemelle è stato il primo segno “diverso” di una nuova e drammatica fase dello scontro ideologico tra poli. Sia chiaro: nessuno pretende che i servizi di tutto il mondo abbiano la bacchetta magica, né la sfera di cristallo. Ma che analisti e strateghi, quantomeno, disegnino proiezioni e direttrici di marcia, veicolando questa fase di concept alla politica troppo spesso sciatta e imprecisa.
In 16 anni, da Mohamed Attà ad oggi, ci sono stati molti fatti, alcuni più significativi di altri. L'eliminazione di Gheddafi e Saddam, la gestione post “boot on the ground” dello scacchiere mediorientale (con i cocci politici e umani piovuti addosso anche all'Europa), l'invasività cinese anche nell'Africa subsahariana e nelle dinamiche iraniane, il caso siriano, il ruolo di Mosca, la nascita di Isis, le novità dei gasdotti, il mercato degli stupefacenti asiatici da ridisegnare, gli attacchi terroristici al cuore dell'Europa, le migrazioni epocali e l'impasse euromediterranea.
Tanta roba, direbbe qualcuno. E non solo perché sviluppata in soli tre lustri, ma perché gravida di un'incidenza diretta all'intimità dell'Europa. Non c'è solo il moloch a stelle e strisce ad essere entrato nel mirino della guerra di religione. Ma un'intera visione del globo che, con le mille discrepanze che la politica europea ha mostrato negli ultimi due decenni, ha di fatto messo di traverso il Mare Nostrum a dinamiche continentali.
Moltissimi sono stati i commentatori che, un attimo dopo la vittoria di Donald Trump, hanno osservato in coro che, proprio la voglia della nuova guida della Casa Bianca di disimpegnarsi dal Mediterraneo per trasferire navi e missili nel mar del Giappone, sarebbe stata un'ottima occasione per l'Europa di imparare finalmente a camminare da sola.
Stando però agli ultimi sei mesi, l'Ue non è stata capace neanche di mettere insieme dati e know how, forze di sicurezza e presidi comuni per impedire che ad esempio Salah Abdeslam, il terrorista francese naturalizzato belga di origine marocchina, jihadista dell'ISIS, transitasse dall'Italia per imbarcarsi alla volta della Grecia. O che ci sia davvero uno scambio di nomi e volti, dall'Irlanda a Lampedusa, per intercettare gli infiltrati che si imbarcano con i migranti, o che sono “dormienti” in attesa del richiamo, o che si stanno radicalizzando, o che si sono camuffati da Imam come a Barcellona.
E a nulla vale giocare la carta dell'ideologia, perché non servirebbe a nulla. La fase post Torri Gemelle va governata con il piglio della logica, delle analisi, degli Stati che si fanno davvero membri, dell'interlocuzione con i territori (e le tribù, come andrebbe fatto in Libia).
Solo con tecnica e lungimiranza sarà possibile evitare altro spargimento di sangue innocente, altri rimpianti e migliaia di righe di retorica che, ogni due per tre, siamo costretti a leggere da parte di chi “lo aveva detto prima” e “se lo sentiva”.