Privatizzazioni e asset strategici: il caso di Telecom Sparkle e lo strabismo della politica


Non è utile, oggi, accusare di sovranismo chi solleva dubbi sulle mani francesi in Sparkle, dopo che si è aperto un varco alla scalata di Vivendi in Telecom



Che differenza c'è tra privatizzare utilities per inseguire efficienza e riforme, e pianificare scenari per asset assolutamente strategici? Con quale metro individuare un acquirente straniero per privatizzare Acea o la gestione di alcuni servizi, e impedire l'autoflagellazione di soggetti indiscutibilmente legati alla sicurezza nazionale?

Sono alcuni degli interrogativi sorti in questi giorni a proposito di Telecom Sparkle, società satellite di Telecom, ritenuta una corazzata tecnologica del valore di 3 miliardi di euro che è finita tra gli obiettivi di Vivendi. Il gruppo francese, salito fino al 23,94% di Tim-Telecom Italia, ha piazzato Amos Genish come Ceo al posto di Flavio Cattaneo. E bussa alla porta del gioiello italiano.

Quasi seicentomila chilometri di rete, con dati ipersensibili, informazioni utili ai servizi segreti che operano nel Mediterraneo, compresi i server di Google (allocati a Palermo) e la stragrande maggioranza del traffico internet diretto a Tel Aviv. Ecco alcuni dei numeri di Telecom Sparkle che, meglio di dichiarazioni dell'ultimo momento, aiutano a chiarire di che stiamo parlando. Non può essere un'emergenza legata all'oggi la gestione di un colosso simile, ma deve rientrare nell'alveo di una strategia che si cuce addosso alla sicurezza, all'intelligence e alle proiezioni italiane nel prossimo futuro.

Non è utile, a questo punto del guado, accusare di sovranismo o protezionismo, chi solleva dubbi sulle mani francesi in Sparkle, semplicemente perché non può essere paragonata ad altri soggetti che in Italia andrebbero privatizzati (e alla svelta) per spezzare la catena della mancata concorrenza e della imbarazzante inefficienza. Sparkle non è alla stregua di una rete del gas o di una municipalizzata, per quanto importante, bisognosa di occhi esterni e più professionali.

No. Sparkle è un'altra cosa e tale deve restare, quindi al di fuori di giochi industriali e accordi politici che possano mettere a rischio la capacità di gestire dati sensibili e fondamentali per le sorti stesse del nostro paese.

Ma il nodo che, oggi, si sta stringendo attorno alla questione (con tutte le mille implicazioni italofrancesi di Libia e Fincantieri) andava in verità sciolto prima, quando le mire di Vivendi erano ormai chiare e certificate. Invece spesso la locuzione “sicurezza nazionale” è presa come spunto da certa politica per sminuire temi e dossier, dinamiche e scelte che dovrebbero essere affidate ad un sistema di professionalità esterne alla partitocrazia.

Inutile girarci attorno, il momento è complesso, per via di una serie di emergenze: il fondamentalismo islamico legato all'Isis con la novità spagnola dell'Imam; le minacce rivolte all'Italia; le elezioni in Libia del prossimo anno legate a doppia mandata al ruolo che avranno i paesi che si affacciano nel Mediterraneo; i flussi migratori, con la criminalità ben più svelta di Stati e Ministeri nell'incunearsi in sacche di potere e flussi di denaro; lo scacchiere dei gasdotti che da tempo ormai sta determinando, come un costante gong, i passi della geopolitica.

Sono solo alcune delle ragioni che dovrebbero far riflettere su temi come “sicurezza nazionale” e “interesse italiano” incardinati ad una realtà come Telecom Sparkle.

twitter@FDepalo

 

 

 

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