Terra anziché mare? Il colosso danese AP Moller-Maersk AS, uno dei maggiori player marittimi al mondo, annuncia un cambio di strategia: punterà su magazzini, terminal container e società di brokeraggio doganale per potenziare le sue capacità di servizi logistici. La mossa nasce dall'esigenza di uno spostamento strategico verso un'altra tipologia di impresa. Fino ad oggi la stragrande maggioranza del fatturato Maersk era direttamente proporzionale al traffico di container, ma entro due anni l'intenzione del Ceo Soren Skou è di raggiungere la percentuale di 50 e 50 tra servizi oceanici e non.
La ridefinizione dell'obiettivo aziendale non è cosa da poco, dal momento che prevede una trasformazione del business marittimo nato ben 115 anni fa ma che ancora oggi si vede costretto a fare i conti con i postumi della crisi finanziaria del 2008, che ha inferto un duro colpo al commercio globale.
Di contro non va sottovalutata l'esigenza tecnica di dover affrontare le nuove sfide dalla crescente controversia commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina. Per comprendere il cambio di passo anche nel voume di affari in questione è sufficiente confrontare il fatturato del 2011 (60 miliardi di dollari) con quello del 2016, sceso a circa 35 miliardi.
Per cui il colosso proverà a utilizzare i propri clienti, ovvero le attività commerciali, le catene di vendita al dettaglio statunitensi e i produttori di vari generi (automobili, mobili, elettronica e abbigliamento) per confluirli nel marchio Maersk al fine di trasferire le proprie merci dai porti ai magazzini e di lì ai centri di distribuzione.
Un passaggio che in realtà è stato già fatto da un altro player mondiale, forse il principale concorrente di Maesk: la francese Cma Cgm, che ha acquistato Ceva Logistics AG, fornitore di servizi di trasporto con sede in Svizzera, per 1,7 miliardi di dollari seguendo un trend già avviato da soggetti di peso come i cinesi Cosco Shipping e China Merchants Shipping e Enterprises Co.
Questi ultimi hanno intrapreso la via della logisitica integrata sulla base del progetto infrastrutturale One Belt, One Road di Pechino per il controllo delle catene di approvvigionamento dall'Asia all'Europa. E i frutti, anche di risposizionamento, si vedono.
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