Le nuove minacce all'Europa: tra promesse, rivolte e crisi mai sopite


Populismi, unione monetaria prima che politica e gruppi armati di nuovo pronti a colpire: ma in tv si parla solo di Catalogna...


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
29/10/2017 alle ore 17:51

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Sono tre al momento le minacce maggiori che attanagliano l'Ue, il suo presente e l'immediato futuro. La prima prende il nome di promesse. Facile cedere il passo a quel vento della favella che fa dire cose iperboliche e prospettare scenari che, poi, non sono oggettivamente sostenbili.

Come un'aliquota fiscale fissa al 15%, o come la vulgata che si può accogliere l'intero flusso migratorio senza conseguenze (ma con incassi da capogiro per la criminalità organizzata), o come l'idea che sia sufficiente l'unione monetaria per costruire quella politica.

Piccoli esempi di come gli spunti dei padri fondtaori, Spinelli, Adenauer e Schuman, siano stati disattesi da politiche sciatte e fuorvianti, azzardate come il fiscal compact e illusorie come l'allargamento che qualche progressista aveva prospettato alla Turchia, salvo oggi “accorgersi” di quanti giornalisti e magistrati siano stati arrestati dal regime di Erdogan.

In secondo luogo ci sono le rivolte: due nell'ultimo periodo meritano un cenno, la Catalogna e quelle anarchico-insurrezionaliste. I fatti spagnoli sono sotto gli occhi di tutti e ognuno può comporre una propria valutazione, ma prima va guardato l'insieme. Il leader catalano Carles Puigdemont rischia l'arresto per aver chiesto l'indipendenza: alcuni sostengono che stia attentando all'unità (che non c'è) dell'Unione Europea, altri ritengono che la libertà di stare dove aggrada ognuno sia il pane della democrazia.

Nel mezzo due popoli che chiedono status diversi in una cornice che di instabilità ne ha già parecchia. Sconcerta l'uso delle manette per leader politici, tanto in Turchia quanto in Spagna, mentre ladri e malfattori veri (ad esempio gli autori delle stragi terroristiche legate all'Isis o i ras della cocaina 2.0 che avvelena ancora migliaia di ragazzi, da Bolzano a Canicattì) siano ancora a piede libero. Ma in questo periodo va così.

Non solo la Catalogna, ma anche i sobborghi ateniesi, dove è stato arrestato un 29enne accusato di fare parte della cellula terroristica che ha inviato due plichi-bomba rispettivamente alla sede parigina del FMI e all'ufficio dell'ex ministro tedesco delle Finanze Schaeuble.

Lo scorso maggio uno di questi plichi era esploso nelle mani dell'ex premier ellenico Lukas Papademos, ferendolo gravemente nella sua auto. Aveva preso in affitto un appartamento dove gli sono stati trovati tre borsoni pieni zeppi di documenti falsi, pistole, cartucce, timer esplosivo, polvere da sparo, detonatori, cavi, stoppini, batterie e pc.

La violenza che spara nel mucchio o contro bersagli ritenuti forieri della crisi: un cliché già visto durante gli anni di piombo in Italia e che oggi, venendo alla terza minaccia, si ripete come da lezione di Giovanbattista Vico. Quei corsi e ricorsi storici che qualcuno nelle cancellerie europee sembra non voler tener conto. La crisi non è finita, con buona pace degli ottimisti della ripresa. Chiariamoci: i numeri incoraggianti anche per l'Italia fanno piacere e rappresentano una buona base su cui lavorare ancora di più.

Ma sarebbe un'altra (deleteria) promessa da buontemponi dire ai quattro venti che, da domani e senza le tediose rivendicazioni di qualche scalmanato catalano, come per miracolo il Vecchio Continente tornerà a sfornare posti a tempo indeterminato e pil da capogiro. Quel mondo non c'è più.

Per il domani basta poco, magari senza enfasi, e con un po'di coraggio: occuparsi di meno di clic e flash, e progettare davvero l'Europa che sarà.

 

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