Dalla svolta costituzionale al nuovo corso di foreign fighters e migranti: che succede in Tunisia?


Anziché aprire una nuova era, Bruxelles e Roma stanno rischiando di trasformare il Paese dei Gelsomini in una nuova Tripoli



Dalla svolta costituzionale datata 2014 al nuovo corso di foreign fighter e migranti: che succede in Tunisia? Come si è passati, in uno dei Paesi più moderni e aperti del mondo arabo, dalla parità tra tunisini e tunisine sancita dalla carta all'art. 20, al foraggiamento dell'Isis e nelle ultime settimane alla strutturazione di una nuova rotta dei migranti?

Punto di partenza è il 2014 quando, a tre anni esatti dalla Rivoluzione dei Gelsomini, l'Assemblea Costituente con 159 sì (su 169) votò affinché tutti i cittadini e le cittadine avessero gli stessi diritti e gli stessi doveri, uguali davanti alla legge senza alcuna discriminazione. Una svolta che portò in calce la firma di un accordo tra il partito Ennahda e l’opposizione laica, con una esplicita garanzia per le libertà di opinione, pensiero, espressione e informazione. Un passo che di fatto ha permesso alla Tunisia di tornare moderna, così come tentato ad esempio nel 1957 da Hai Bourguiba che imboccò una strada più liberale e meno dogmatica: scelse di rileggere il Corano abolendo la poligamia, proponendo l’istruzione obbligatoria per entrambi i sessi e politiche di pianificazione familiare.

Ma cosa è cambiato nel paese in soli tre anni? La ferita aperta della disoccupazione e della crisi economica è stata il veicolo che ha condotto i giovani dalla ricerca di un lavoro normale allo stipendio sicuro offerto dall'Isis. Può contare su un record originale: ha inviato in Iraq e in Siria più foreign fighters a supporto dei terroristi di qualsiasi altro Stato. Molti puntano il dito contro la gestione delle Primavere arabe: in sostanza alle manifestazioni di piazza e ai piccoli risultati ottenuti nel medio-breve periodo non ha fatto seguito una strategia di insieme, con l'occidente che ha dato un sostegno monco a Tunisi lasciando che, a riflettori spenti, la libertà di predicare e reclutare si tramutasse in assist per i gruppi presenti in loco (come le fazioni apertamente schieratesi pro Isis).

La vita quotidiana dei 15enni tunisini non è migliorata. Il lavoro scarseggia, la polizia ha sempre quell'accento tipico del regime antidemocratico, le contraddizioni si elevano al cubo in un momento in cui, almeno Tunisi, dovrebbe essere sostenuta nell'essere più stabile a fronte del caos libico. Certo, in cuor suo la Tunisia è sempre quella terra laica che guarda all’Europa, ma la convivenza degli ultimi due anni con i profughi libici ha infiammato tessuti e menti.

Ecco che l'instabilità, economica e sociale, ha fatto da propellente alle pulsioni jihadiste che, con più di trenta denari in tasca, sono riuscite ad ingaggiare un numero impressionante di giovani, pronti ad abbracciare la causa che ha ucciso in nome di Allah. E'stato il New York Times nel 2014 a fornire una prima stima di quei cittadini tunisini transitati in Siria e in Iraq per unirsi al gruppo Isis: almeno 2.500. Senza contare quelli che sono stati bloccati alla frontiera, tutti rigorosamente under 30. Oggi non c'è solo il carcinoma jihadista a sfiancare la Tunisia: c'è il torbido del caso libico, con i trafficanti di carni che hanno spostato il baricentro da Tripoli a Tunisi, passando per chi continua a fare affari così come fatto nell'ultimo secolo.

Nel mezzo l'Europa, ancora silente, nonostante la Casa Bianca abbia sancito il proprio disinteresse per il Mediterraneo dopo anni di presenza costante: da occasione per aprire una nuova era, Bruxelles e Roma stanno rischiando di trasformare Tunisia in una nuova Tripoli.

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