Il problema per una volta (e finalmente) non è destra-sinistra, anche perché la politica non può e deve ficcare il naso in tutto. Ma come mai un giornalista finisce manganellato, come accaduto ieri a Genova. Come mai in Italia è tornato questo clima balcanico di contrapposizione e guerriglia. Come mai gli effetti nefasti, tanto della globalizzazione quanto dell'ondata di Goldman del 2008, stanno ancora facendo morti e feriti, tanto nello Stivale quanto altrove, dove si muore di crisi ma in pochi lo scrivono.
I sociologi che affollano i talk show ci informano che la crisi e la povertà portano cattiveria e contrapposizione. Ma nell'ultimo decennio di crisi vere e crude (tali perché impedivano finanche il sostentamento di un pasto) se ne sono viste solo in Grecia, dove bambini indigenti che non potevano mangiare si accasciavano nelle scuole, farmacisti (non tornitori) che si sono sparati in bocca sulla piazza del parlamento perché lo Stato doveva loro svariate centinaia di migliaiadi euro, tredicenni che sparivano (e spariscono) contribuendo al record europeo di ragazzini e ragazzine rapiti.
Che c'entra dunque l'Italia? C'entra.
C'entra perché la crisi del ceto medio post quasi default dell'euro nel 2012 è ancora presente non solo nel mezzogiorno. Basta farsi una passeggiata in Veneto, dove di aziende chiuse ce ne sono parecchie. O in Abruzzo dove le ferite del terremoto sono ancora lì purulente, senza un millimetro di disinfettante. O in Sardegna dove la storia dei pastori e del latte è stata presto cancellata da tg e giornaloni, mentre la regione resta isolata con situazioni aeree paradossali (ma tutti zitti, tanto adesso comincia la stagione turistica).
Ma siamo partiti dal giornalista manganellato e siamo arrivati al latte, alle istantanee di famiglie e pmi? Sì, perché è tutto legato a doppia mandata. L'Italia semplicemente sta affondando, socialmente prima che economicamente, nelle sabbie mobili delle proprie contraddizioni, dove la partita della modernizzazione non si è mai giocata. Le rendite di posizione sono lì immutate da decenni e impediscono il ricambio, tanto nelle braccia quanto nelle idee che, gioco-forza, vanno adeguate ai tempi.
Professioni socialmente decisive, come ad esempio quelle legate al giornalismo, sono svilite sull'altare di privilegi di ieri che oggi si sono trasformati in giungla di diritti. I veti ideologici guidano processi che, senza una riforma della giustizia, hanno tempi biblici e scoraggiano le aziende straniere a investire qui. Le mille paure del cambiamento oscurano visioni e scommesse, perché tutto resta incatenato alla pratica bizantina, come dimostra l'assenza in programmi elettorali di due battaglie fondamentali come una vera politica industriale (che manca all'Italia da decenni) ed una nuova infrastrutturazione moderna, fatta di merci in treno, cargo e porti veri come Pireo in Grecia. Da lì, e solo da lì, passa uno vero sviluppo decennale.
Sono solo alcune delle deficienze italiane, nodi che periodicamente tornano al pettine e che si mescolano con un'aria oggettivamente irrespirabile che viene sparsa da Bolzano a Canicattì. E che proprio non fa bene a nessuno.
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