Il decreto sblocca cantieri, su cui il governo giallo-verde fa affidamento per rilanciare la crescita economica, non piace a molti ma in particolare proprio non va giù al presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone, che lo boccia integralmente.
Nel provvedimento infatti si possono riscontrare vari aspetti problematici: prima di tutto nella norma che semplifica gli affidamenti sotto i 200mila euro, norma pericolosa perché questi affidamenti sono numerosissimi soprattutto negli enti locali. Come seconda critica, nello Sblocca cantieri si trovano norme preoccupanti che riportano il ripristino dell’appalto integrato: un sistema che ha dimostrato di funzionare molto male. In più ci sono norme che consentono eccessive deroghe per i commissari di governo che sono nominati con un criterio che non individua con chiarezza quali sono le opere coinvolte.
E come se non bastasse, destano preoccupazione nel presidente dell’Anac anche i procedimenti per i subappalti: la nuova norma contiene una serie di rischi collegati all’infiltrazione mafiosa, essendo anche una norma pericolosa sul piano della qualità delle opere. Questo perché i subappaltatori operano in regime di ulteriore risparmio ed il decreto sblocca cantieri prevede come regola il prezzo più basso: l’idea è che più che al far bene si pensa al fare comunque.
Ma il punto più debole del provvedimento per Cantone resta legato al fatto che il grande sblocco delle opere riguarda le opere sotto i 200mila euro; per tutte le opere per cui prima si potevano fare procedure semplificate fino a un milione di euro adesso bisogna fare procedure aperte. Fino a 200mila euro mani libere, oltre procedure iper-garantite: non sembra un’idea che possa sbloccare veramente i cantieri.
Infine Cantone, a margine dell’esclusione dell’Anac dalle audizioni durante la stesura dello sblocca cantieri, spiegando come parlamento e governo non abbiano ritenuto opportuno sentirlo in questa delicata fase, si mette ugualmente a disposizione per fare e pubblicare uno studio a riguardo.
In tutto ciò, mentre il parlamento discute del decreto, la normativa finisce anche nel mirino della Corte dei Conti: troppe deroghe, troppe continue modifiche, troppi cambiamenti in corso d'opera, un vero ginepraio che lascia spesso sgomenti gli operatori, soprattutto negli enti locali. Tra le cause del blocco degli investimenti, la Corte dei Conti elenca dunque anche questa: l'assenza di ordinarietà, di regole semplici e stabili nel tempo, comprensibili e applicabili da tutti.
L'Ance sembra sulla stessa linea, chiedendo regole ma che siano semplici, facilmente comprensibili, non potendo pretendere che gli ingegneri o gli architetti siano giuristi. La programmazione delle infrastrutture strategiche del resto è stata modificata 5 volte negli ultimi 8 anni, con continui ripensamenti deleteri sulle priorità da finanziare per il settore.
L'associazione evidenzia non a caso che dei 150 miliardi stanziati nelle ultime tre manovre è stato speso solo il 4%, così come percentuali marginali sono state spese anche dei fondi europei. Il problema non sta tanto nelle famose soglie, di gara o di subappalto, ma nella complessità delle procedure “a monte” e nel fenomeno del “blocco della firma” che paralizza molti amministratori, timorosi di incorrere in abuso di ufficio o in contestazioni per danno erariale.
twitter@ImpaginatoTw