Secondo le stime e le previsioni della Commissione europea, per l’Italia non sono in arrivo buone notizie: alla fine dell’anno secondo l’esecutivo di Bruxelles il Pil si fermerà allo 0,2% (con una crescita più virtuale che reale, 0,1-0,2%), il rapporto tra il deficit nominale e il Pil sarà al 2,5% con un debito pubblico del 133% che continua a salire. Se i numeri verranno confermati ci sarà una differenza dello 0,1% rispetto alle attese del governo: uno scarto non elevato ma sufficiente per chiedere ulteriori correzioni rispetto a quelle già contenute nella legge di Bilancio.
A preoccupare maggiormente Bruxelles è il debito pubblico: il rapporto con il Pil salito al 133% continuerà ad aumentare fino al 135% nel 2020; nel Def è ribadito l’impegno a fare privatizzazioni per un punto percentuale di Pil ma sono in pochi a credere che il governo ce la farà.
In uno scenario complessivo caratterizzato da molte incertezze è ovvio che l’esercizio previsionale di Bruxelles sarà improntato alla cautela: le evoluzioni delle tensioni commerciali tra le due sponde dell’Atlantico, la Brexit, i rapporti con la Cina e l’esito delle elezioni europee sono i principali fattori destinati a incidere sull’evoluzione di una situazione economica nei Paesi membri dell’Ue che certo non appare rosea. Il tutto nella consapevolezza che entro fine anno cambieranno i vertici delle istituzioni Ue, Bce compresa.
Ma se il futuro si presenta difficile per tutti, per l’Italia la strada appare ancora più in salita, almeno vista da Bruxelles. La crescita dello 0,2% registrata nel primo trimestre, la quale ha consentito di uscire dalla recessione tecnica in cui l’economia del Paese era piombata negli ultimi trimestri dello scorso anno, è la metà di quella registrata dall’Eurozona e diventa davvero poca cosa se confrontata con lo 0,7% messo a segno dalla Spagna: questo l’unico Paese, insieme alla Grecia, a precederci nelle poco invidiabili classifiche della disoccupazione generale e giovanile.
Inoltre secondo tali valutazioni, il segno più davanti allo 0,2% del periodo gennaio-marzo 2019 (che è tra l’altro la stessa cifra che a febbraio l’Ue aveva previsto per la crescita dell'Italia durante l'intero anno) ha un carattere che potrebbe rivelarsi effimero se effettivamente fosse il risultato di un “rimbalzo” delle esportazioni e della ricostituzione delle scorte di magazzino da parte delle aziende.
Il vero problema, come osservato dagli addetti ai lavori, è quello degli investimenti e quelli delle imprese restano al palo: segno inequivocabile sul fatto che la fiducia è ancora merce rara. Anche Bankitalia ci mette del suo, avvisando che i rischi per la stabilità finanziaria derivanti dalla congiuntura economica sono in aumento e che l’alto debito pubblico rende l’economia italiana particolarmente esposta.
Ciò mentre lo spread spinge all'insù i tassi bancari con conseguenze inevitabili sull'accesso al credito: ad ogni modo al di là dei numeri della Commissione europea ed in attesa di vedere quali saranno gli equilibri politici europei che usciranno dalle elezioni del 26 maggio, l'Italia molto probabilmente eviterà di cadere sotto procedura d'infrazione per debito eccessivo almeno fino al prossimo autunno, quando però dovrà uscire allo scoperto presentando la manovra per il 2020 con la relativa soluzione che intende adottare rispetto all'aumento dell'Iva previsto dalle clausole di salvaguardia.
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