Il nuovo Codice della crisi d’impresa è finalmente (e forse allo stesso tempo purtroppo) legge. Finalmente perché la riforma del sistema fallimentare ha visto la luce dopo anni e anni di dibattiti, cominciati quando la consapevolezza che le leggi che governano ancora oggi il nostro sistema fallimentare del 1942, seppur modificate di tanto in tanto, cominciavano ad essere abbastanza datate. Attuando un’importante modifica all’impostazione della gestione delle crisi aziendali, affette anch’esse dalla deregulation tipica dei primi anni duemila, il nuovo Codice si prefissa il compito di riportare sotto il controllo pubblico, prima ancora che giurisdizionale, la crisi d’impresa.
Infatti è proprio nei primi anni duemila che si assiste alla nascita e al proliferare di formule concordatarie privatistiche alternative al Fallimento, che avrebbero dovuto velocizzare i procedimenti di crisi. Tutte queste procedure concordatarie avevano il pregio/difetto (dipende dai punti di vista) di guardare alla crisi d’impresa come un fatto accidentale e facilmente risolvibile grazie ad un accordo per l’appunto privatistico tra le parti.
Sotto queste considerazioni e sotto i migliori auspici è quindi partito il nuovo Codice d’impresa che fa delle procedure di alert (basate su indicatori stringenti e oggettivi, definiti ex-ante soprattutto dai commercialisti) una delle sue principali novità: tali procedure hanno il compito di far emergere la crisi d’impresa prima dell’insolvenza conclamata, e quindi l’apertura del fallimento, e potranno essere attivate, oltre che dall’Inps o dal Fisco (ai quali viene conferita ed aggiunta una nuova importante funzione di controllo aziendale) agli organi di controllo interno delle imprese. Il cuore del nuovo codice di impresa è proprio il nuovo ruolo che viene dato ai professionisti che faranno parte degli organi di controllo interno delle imprese, chiamati a verificare con continuità il rispetto di quegli indicatori che, se non soddisfatti, apriranno le porte alla crisi.
Pertanto con l’approvazione della legge delega su “La riforma della disciplina della crisi di impresa e dell’insolvenza” circa 160.000 società a responsabilità limitata (Srl) presenti in Italia saranno obbligate a dotarsi di un organo di controllo collegiale o in alternativa di un revisore legale dei conti o anche di affidare il tutto ad una società di revisione.
In teoria una novità importante, ma in pratica, oltre che un ulteriore innegabile costo da non sottovalutare per le imprese, risulta arduo comprendere come questo nuovo obbligo possa trasformarsi davvero in opportunità. Oggi le micro e piccole imprese sembrano avere bisogno di tutto, ma non certo di un professionista esterno a fianco per una realtà relativamente piccola che difficilmente potrà aiutare nel processo di crescita e di riorganizzazione contabile.
Da ciò sembra chiaro che gli unici a guadagnarci qualcosa siano i revisori e le aziende risulterebbero così quasi la parte passiva di tutto questo. I piccoli e medi imprenditori italiani sono seriamente preoccupati, c’è un forte rischio che l’intero sistema possa complicarsi: persino un semplice prestito con il sistema Alert sarà quasi impossibile da ottenere.
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