Tra me e mio figlio c’è spesso un telefonino.
Il suo, penso io.
Lo accompagno a calcio. Abbiamo una mezz’ora per stare insieme, finalmente.
Saliamo in macchina e sento spari, urla, qualche parolaccia. Un video di YouTube. Poi inizia a chattare. O meglio, inframezza i video di YouTube con messaggi, per lo più audio. Il fervore che mette nel registrare o nel digitare è superiore alla norma e allora provo a chiedere di cosa si tratti. Mi accenna ad una bega tra amici: lui ha detto che lei pensava a una cosa, mentre invece l’altro non voleva, allora però se lui non voleva, e lei nemmeno lo pensava, poteva starsi zitto, e adesso lo sanno tutti, solo perché quell’altra era gelosa. Un casino incomprensibile, però ne riconosco le caratteristiche. Assomiglia a momenti vissuti anche da me. Cambia il mezzo, ma la sostanza è la stessa. Mi faccio coraggio: “Quindi, alla fine, è una questione di gelosia?”. “Sì papo, un po’ sì, però non mi è piaciuto quando hai detto che questa cosa l’avevi saputa da lei, mentre invece tu sapevi …”. “No, io non sapevo proprio niente …”. “E dai Papo, per favore… stavo facendo un audio!”. “Ah scusa”. Taccio. Mio figlio riparte con l’audio: “Non mi è piaciuto quando hai detto che questa cosa l’avevi saputa da lei, mentre invece tu sapevi benissimo che era stato proprio lui, quindi ora hai capito?”. Silenzio. “Quindi ora hai capito?”. Ancora silenzio. “Papo?”. “Eh”. “Non mi rispondi?”. “Ma perché stavi dicendo a me?”. “Sì”. “Non stavi facendo l’audio?”. “Prima, poi l’avevo finito”. Entra ed esce dalle situazioni con una rapidità cui non riesco a stare dietro. Mentre provo ad articolare una risposta, mio figlio decide che sono trascorsi già troppi secondi e fa ripartire un video.
Mi arrendo.
Guido. Lui guarda i video di YouTube, ogni tanto registra o ascolta un messaggio.
Arriviamo al circolo sportivo dove è in programma la partita. Ci salutiamo. Mi consegna il cellulare e raggiunge i compagni in campo. Tra me e mio figlio, adesso, c’è una rete; mentre corre, e in una frazione di secondo incrociamo gli sguardi, mi sembra che, finalmente, ci stiamo parlando.
Non so bene di cosa, ma un po’ stiamo parlando.
* * *
Tra me e mio figlio c’è spesso un telefonino.
Il mio, penserà lui.
Lo accompagno dal dentista. Deve togliere un dente ostinato. Abbiamo di nuovo una mezz’ora per stare insieme.
Al secondo semaforo, quando ho già iniziato a sentire il tipico audio dei video su YouTube, gioco d’anticipo e gli chiedo di posare il cellulare, così parliamo un po’. Chiedo della scuola. Tutto bene. Dei compiti. Me li racconta. Non li ha ancora finiti, appena tornati a casa dovrà continuare.
Ora che stiamo in macchina, propone mio figlio, perché non lo aiuto a buttare giù lo schema di una pagina di diario che deve scrivere per italiano? Sì, mi pare una buona idea. Deve raccontare della famiglia, dei rapporti che ha con ciascuno di noi e di cosa vorrebbe che non ha.
Mi predispongo all’ascolto ed ecco che arriva sul mio telefonino una chiamata di lavoro. Me la sbrigo rapidamente. Poi una seconda, alla fine della quale sorge l’esigenza di riprendere la prima chiamata. “Scusa”, mi giustifico, “devo richiamare, sai, il lavoro …”. Mio figlio aspetta mentre io, al telefono, ascolto e suggerisco, oppure parlo e ascolto suggerimenti. Arriviamo così dal dentista e, mentre parcheggio e chiudo la terza telefonata, mi accorgo che mio figlio sta mettendo a posto il quaderno. Aveva chiesto il mio aiuto. Inutilmente.
Mi sento in colpa.
Saliamo e ci accomodiamo in sala. Dopo poco ci chiamano.
Si siede sulla poltrona del paziente e saluta la dentista. Mi squilla il telefono. Guardo il display: ora non posso. Silenzio la suoneria, scrivo che non posso rispondere, metto il telefono nella giacca e faccio in tempo a sentire la dentista: “Sei proprio coraggioso, bravo”. Ha tolto il dente. Ho visto il prima e il dopo. Non c’ero durante.
Andiamo via e risaliamo in macchina. Ora senza telefono. Né lui, né io.
Mi legge lo schema che aveva abbozzato prima, da solo. Mi pare che vada bene.
Una volta a casa, va in camera sua e scrive il testo.
Dopo cena gli chiedo di raccontarci cosa ha scritto. Prende il quaderno e legge.
Con la sorella va d’accordo, anche se lei scherza pure quando non dovrebbe. Però è allegra e generosa.
Alla mamma è molto legato. Ci sta molto tempo insieme e forse è per questo se ogni tanto discutono. La mamma sa ridere e far ridere, anche se è troppo precisa.
Io sono estroverso e un po’ permaloso. Con me vede le partite della Roma e va al cinema.
Avrebbe un desiderio: stare di più insieme.
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