Credo possiamo essere tutti d'accordo su di un fatto: ogni rapporto, di qualsiasi natura esso sia, nel corso del tempo si trasforma, evolve, muta. Indipendentemente dalla natura della relazione di cui si discute. E così, ad esempio, un’amicizia di lungo corso e fraterna può accrescere ancora di più il legame tra due persone, come può, viceversa, conoscere distacchi inaspettati, magari dovuti a banali fraintendimenti o sciocchi litigi.
Oppure prendiamo ad esempio una relazione affettiva, a prescindere dalla circostanza che venga in questione un vincolo matrimoniale. In molti casi vi sono coppie che resistono all'usura ed al logorìo dello scorrere degli anni; eppure, in altrettanti e purtroppo crescenti casi, non si ha il coraggio di tenersi per mano per saltare insieme il fosso, che appare profondo ed incolmabile.
Ed allora uno dei due resta indietro. Ed il sentimento, o quel che ne resta, scompare in quella voragine. Il coraggio sta, in questi casi, nel fermarsi un attimo prima di cadere. Nel cercare l'aiuto di professionisti in grado di costruire quel ponte che annulli la distanza. E, soprattutto, nel comprendere che la fine di un amore non deve mai avere come conseguenza quello di addossarne la colpa ad uno dei partner specialmente agli occhi dei figli. Che hanno il diritto a non essere manipolati. Non è infrequente, infatti, che il padre o la madre tengano una condotta tale da determinare l'insorgenza nel figlio di ciò che gli psicoterapeuti definiscono “sindrome da alienazione parentale” (P.A.S.) - concetto introdotto per la prima volta negli anni ottanta dallo psichiatra forense statunitense Richard Gardner – ossia il risultato di una presunta “programmazione” dei figli da parte di uno dei due genitori (definito “genitore alienante”) che porta i figli a dimostrare astio e rifiuto verso l’altro genitore (definito “genitore alienato”). I giudici condannano simili atteggiamenti e, di recente, hanno individuato alcuni elementi sintomatici di tale comportamento disfunzionale che può portare alla revoca dell'affidamento condiviso, in favore di quello esclusivo a beneficio del genitore denigrato.
Si tratta, in particolare: della campagna di denigrazione, nella quale il bambino mima e scimmiotta i messaggi di disprezzo del genitore alienante; della razionalizzazione debole dell'astio, per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o superficiali; della mancanza di ambivalenza; del genitore rifiutato che viene descritto dal bambino “tutto negativo”, mentre l'altro genitore è “tutto positivo”; del fenomeno del pensatore indipendente: il bambino afferma che ha elaborato da solo la campagna di denigrazione del genitore; dell'appoggio automatico al genitore alienante, quale presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore alienante; dell'assenza di senso di colpa; degli scenari presi a prestito, ossia affermazioni che non possono ragionevolmente venire da lui direttamente; dell'estensione dell'ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato.
E questo sarebbe l'amore di un genitore?