#OroVerde – C’era una volta in Colombia (Regia: Cristina Gallego, Ciro Guerra. Con:Natalia Reyes, Jhon Narváez, Carmiña Martínez, José Acosta, José Vicente, Greider Meza. Genere: Drammatico)
Ve lo confesso: ho deciso per questo film, essendo un’appassionata delle serie Narcos, su Netflix. Le ho viste tutte e le considero dei preziosi documentari sulla storia non solo colombiana.
Sono incentrate sul personaggio di Pablo Escobar, per estendersi a raccontare, con precisione degna di una vera cronaca (ma senza perdere il fascino della narrazione cinematografica) le vicende del cartello di Medellín e di Cali. E gli intrecci politici tra i governi, e la progressiva esplosione del narcotraffico su larga scala in tutto il mondo; e gli eroi della DEA, l’agenzia federale statunitense che ha in carico questi crimini.
Oro verde (traduzione italiana un po’ fantasiosa dell’originale Pajiarós de verano, letteralmente “uccelli estivi”) è un genere cinematografico veramente di nicchia: “epic crime” o “gangster movie”; ma in salsa antropologica, con un occhio attento e fedele al dato storico e descrittivo di una civiltà praticamente perduta. La storia parte dagli anni sessanta, in Colombia, nella regione settentrionale abitata dagli indiani Wayuu, che ancora vivono di sussistenza e allevamento. Rispettando tradizioni antichissime, che la colonizzazione non è riuscita a spazzare via.
I registi colombiani Ciro Guerra e Cristina Gallego si concentrano sulle vicende di una famiglia, fortemente matriarcale, ed in particolare su uno di loro, il protagonista: Rapayet. Per sposare la giovane e bella Zaida ha bisogno di denaro, la dote pretesa è enorme. Inizia così, in modo un po’ casuale e inizialmente artigianale, un commercio di marjuana, erba selvatica e sconosciuta agli indigeni ma molto apprezzata dai gringos. All’inizio a dorso di mulo. Poi sulle jeep. Sempre più grandi e più numerose.
All’inizio gli scambi e gli affari avvengono sulla base di accordi e strette di mano tra parenti; ma con l’incremento dei guadagni gli schemi arcaici ed elementari sulla cui base da secoli si fondava quella civiltà cominciano a scardinarsi. Il racconto è una sorta di parabola: le prime battute sembrano un documentario, con alcune scene-gioiello, come quella del ballo tribale di corteggiamento. Poi il film scivola sulla storia vera, le origini del narcotraffico, cosa c’era prima, molto prima di Medellín.
Come si è arrivati all’uso della violenza come strumento normale per imporre la propria volontà ed i propri interessi economici. Diventa una parabola sulla guerra, sulla spirale negativa che viene dal commercio della droga, sulla contaminazione del denaro. L’opera è stata candidata come miglior film straniero, dalla Colombia, agli ultimi Oscar. Lo so che non è facile trovarlo al cinema, ma vi consiglio di provarci.
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