Tutti i numeri che non convincono del decreto crescita


Ecco perché non basta chiamarlo "Decreto Crescita" per far ripartire il Pil


di Leonardo De Santis
Categoria: ABRUZZO
27/04/2019 alle ore 09:00



Via libera definitivo del Consiglio dei Ministri, che ha approvato in seconda deliberazione il 24 aprile 2019 il Decreto Legge “Crescita”, la norma che dovrebbe introdurre misure urgenti per la crescita economica ed interventi in settori industriali in crisi: presto sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale diventando così effettivo.

Leggendo l’intero provvedimento, sembra materializzarsi un mix di piccoli e disorganici provvedimenti; alcuni utili, altri meno, però potranno fare ben poco per risollevare le sorti dell’economia italiana. Finalmente il Governo ha preso cognizione del fatto che solo con la crescita si possono finanziare misure di solidarietà sociale, ma non si può fare a meno di notare l’assenza di un piano per la crescita: lo si denota soprattutto dal fatto che vengono già sconfessate alcune scelte prese dalla maggioranza nella legge di bilancio, approvata pochi mesi fa. 

Torna per esempio il super ammortamento, per il quale non era stata disposta la proroga, cioè la maggiorazione del 130% dell’ammortamento degli investimenti in beni strumentali fino a 2 milioni e mezzo di euro. Ciò tradotto come maggiore facilità di coprire la spesa, ma finora utilizzato molto più al nord perché è lì che ci sono maggiori aziende e lì è stata enorme la spesa per servizi e infrastrutture, senza i quali non si produce neanche un bottone.

Già fallita la mini-Ires al 15%, un flop ampiamente previsto, scomparsa del tutto e adesso sostituita da uno sconto sull’imposta. Il resto è un miscuglio di aggiustamenti di misure già in essere o rispolverate: in aggiunta vi sono provvedimenti che riguardano temi di certo non legati alla crescita (come la norma sui commissari Ilva, la conversione del prestito Alitalia o il salva-Roma, saltato tra l’altro per metà).

Leggere poi tra le misure incluse nel Decreto Crescita la cosiddetta protezione dei marchi storici dalle delocalizzazioni con annessi aiuti di stato sta a significare che si persevera imperterriti ad ignorare i mali della nostra economia di mercato: i mali di un capitalismo privato di relazione, che a furia di cercare protezioni politiche ha finito per autodistruggersi.

Risulta invece del tutto sparito dall’agenda di Governo l’argomento produttività: troppo complesso e tecnico effettivamente per poter essere speso nella campagna elettorale perenne. Per non dimenticare i divari regionali, sui quali non sussiste alcuna idea economica; l’unico sussulto appare essere l’annuncio di un Consiglio dei Ministri da svolgere in Calabria, l’assurdo.

Ancora oggi nel 2019 il nostro Paese, eccetto pochi e rari momenti di lucidità politica, non riesce ad avere una classe dirigente in grado di comprendere di cosa ci sia bisogno per poter essere una grande potenza economica nell’epoca della globalizzazione, del mercato unico europeo, delle competenze, della progressiva automazione.

Non è possibile né tantomeno pensabile poter interrompere la fuga dei giovani all’estero attraverso qualche sconto fiscale, senza comprendere davvero che si tratta di una mera velleità, poiché una nazione poco attraente in termini di opportunità, merito e apertura internazionale non riuscirà ad invertire il trend.

Le modifiche possono essere apportate, nulla è perso irrimediabilmente, ma occorre diametralmente cambiare rotta e velocità.

 

 

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