Giustizia per Monia, domani l'Appello


Uccisa a Francavilla dal suo inquilino con 16 sassate al volto e scannata


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
10/04/2019 alle ore 08:05



Due anni fa. Ve la ricordate Monia, uccisa a Francavilla dal suo inquilino con 16 sassate al volto e scannata (l’autopsia dice proprio così: scannata, con un pezzo di vetro) e poi trascinata per diversi piani avvolta in un lenzuolo e lasciata morire in un sottoscala?

Maperò questa storia l’ha seguita dall’inizio, e anche adesso, alla vigilia del processo d’appello, ha chiesto a Barbara Orsini, la sua migliore amica (oltre che giornalista), di raccontare questa attesa. Che è la sua, e di quelli che le hanno voluto bene, primi fra tutti la mamma Doretta e il papà Aldino. 

Ancora una volta saremo in Tribunale, ancora una volta non lasceremo soli mamma Doretta e papà Aldino che soli in questi 27 mesi non lo sono mai stati. Una meravigliosa staffetta di bene li abbraccia da mattina a sera: quell’onda di ‘bello’ che tu, amica mia, hai saputo donarci in vita e lasciarci in eredità non può fermarsi. Non deve.

Domani c’è l’udienza d’appello a L’Aquila: persino più del pubblico ministero saremo noi a chiedere che a chi ti ha ucciso vengano ‘almeno’ confermati quei 30 anni di carcere del primo grado. Sempre troppo pochi, sempre poca roba rispetto al vuoto che quelle mani hanno lasciato in decine e decine di vite. Ma almeno che 30 anni siano: sono il massimo che gli si potevano infliggere per quell’odioso sconto chiamato ‘ rito abbreviato’? Beh, che il massimo della pena sia.

Non è stato semplice ‘festeggiare’ qualche giorno fa il sì del Senato alla inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo. Certamente una sacrosanta battaglia di giustizia, alla quale a modo nostro abbiamo dato un piccolo ma accorato contributo raccogliendo firme in giro per l’Abruzzo, ma così tardiva e ‘inutile’ davanti alla tua lapide amica mia.

Il tuo non è stato celebrato, e ancor meno raccontato, come un processo per femminicidio. Eppure quelle lastre di pagine, perché dure come marmo, consegnandoci i tuoi ultimi attimi di vita ci hanno detto chiaramente che se tu non fossi stata una donna oggi probabilmente non staremmo qui a parlare di te come se tu non ci fossi più. Sì, perché un telefono muto e delle tapparelle serrate da 27 mesi non sono abbastanza per farci dire che non ci sei più. Non lo sono nemmeno i messaggi nel cuore di condivise notti insonni che si fermano da qualche parte senza più arrivare. Non lo sono quelle cenette di metà settimana oggi deserte, per anni rubate ad una sveglia presto e ad un corri corri che adesso ha il sapore di un errore irrimediabile.

Domenica scorsa sulla ‘tua’ panchina azzurra cantava allegra una bimba di nome Nives. Tra tante, anche vuote, chissà perché ha scelto quella di panchina per cullare un pupazzetto che mi ha presentato e affidato per qualche minuto quando un amichetto l’ha invitata ad un giro sull’altalena.

Chissà perché…

L’ultima volta che ti ho sognata, appena poche notti fa, mi hai rimproverata di smetterla di star male per chi non merita. Esattamente come avresti fatto se fossimo state sul tuo, o mio, divano di casa. Ed esattamente come su quei divani ti ho detto convinta di sì col capo per tutto il tempo salvo poi capire cosa tu intendessi davvero solo qualche giorno dopo.

Non te la prendere, promettimelo, se non sono riuscita a convertirmi alle tisane ‘così capaci di far vedere tutto e tutti più chiaramente!’. Non te la prendere se te la farò fare ancora milioni di volte quella adorata faccetta ‘triste per finta’ per le mie lotte contro ‘i mulini a vento dell’idiozia’: tu chiamavi così le mie imprese per le quali ‘spendi energie e disperdi bene manco ti avanzassero amica mia bella’.

Domani vorremmo riuscir a mettere la parola fine almeno a questa pagina tra le tante dolorose di una orribile storia. Dico vorremmo perché non ne sono affatto certa. Me lo domando da tempo: una sentenza può davvero così tanto? A giudicare dall’attesa che batte in petto a mamma Doretta e papà Aldino sì, una sentenza può così tanto. Deve, a questo punto.

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