Viva la Prima Repubblica (dopo il caso De Vito, e non solo)


Prospettive del M5s dopo l'arresto e l'espulsione (prima della sentenza) del grillino più forte in Campidoglio


di Raffaele de Pace
Categoria: ABRUZZO
20/03/2019 alle ore 21:35



La vicenda legata all'arresto del Presidente del Consiglio Comunale di Roma, il grillino Marcello De Vito, offre interessanti spunti - non giudiziari - che meritano di essere approfonditi. 

Primo. Il vicepremier Luigi Di Maio lo ha espulso in un batter d'occhio, senza passare dalle stanze burocratiche dei probiviri, ancora prima di conoscere la fine di questa vicenda che è appena iniziata. Come se la presunzione di innocenza non esistesse. Significa che il M5s ha una paura folle di ciò che i propri iscritti possono o non possono fare, visto che ci si avvicina alle urne, dopo le imbarazzanti vicende romane legate a Marra e a Lanzalone, rispettivamente “uno dei tanti dipendenti del Comune” e l'uomo chiamato per guidare l'Ama.

Secondo. Da un punto di vista amministrativo si tratta della terza picconata (tutta interna) alla Giunta Raggi, che sarebbe da sola sufficiente per far calare il sipario. Ma da un punto di vista squisitamente politico c'è un altro elemento che ha un preciso e rilevantissimo peso specifico: il M5s era nato in netta contrapposizione al mondo di ieri (compreso quello “di mezzo”), reo di aver gonfiato il debito pubblico italiano, di aver ridotto all'osso le banche italiane, di aver depredato e ammalato (vero Ilva?) il sud, di aver rubato il futuro agli italiani. Salvo poi oggettivizzare che non è sufficiente una tinteggiata per curare le crepe su un muro, ma occorre di più.

Terzo. Siamo passati dai titoloni urlati contro le cene eleganti, contro i diamanti di Belsito, contro i rimborsi di Lusi, contro i balli di De Michelis, a episodi di corruzione, mala amministrazione e curricula vuoti. Significa che sventolare la bandiera del purismo è un'arma a doppio taglio, è un errore che può costare caro, a maggior ragione se gli elettori iniziano a capire la sostanza dei propri interlocutori.

Nessuno pretende di avere i mille parlamentari italiani tutti candidati al premio Nobel, ma nemmeno che ignorino la regione di appartenenza della città di Matera o le dinamiche geopolitiche che sono alla base di memorandum e accordi internazionali.

Quarto. Con tutti i limiti della Prima Repubblica, e ce ne sono davvero a migliaia, parliamo di un'era geologica dominata da personaggi di una tara superiore. Non solo lauree o titoli, ma personalità, caratura intellettuale, mescolata a doti personali e caratteriali. Avranno avuto tutti i difetti del mondo i vari Moro, Almirante, Berlinguer, Andreotti, Spadolini, Pertini, Craxi ma erano davvero di un'altra pasta. E che si dimostri il contrario.

No, non è nostalgismo, ci mancherebbe. Ma solo una oggettiva presa d'atto. Per anni ci siamo lamentati della crisi del racconto, del fatto che il pensiero unico fosse dominante, prima in un verso e poi nell'altro. Oggi se alziamo per un attimo lo sguardo dal telecomando che cambia i mille talk show politici serali, troppo spesso con vallette o nuovi fantomatici blogger a mettere in dubbio scienza e docenze, ci accorgiamo che il mondo sta cambiando: ma noi abbiamo scelto di inseguirlo a piedi, scalzi e senza una goccia di futuro.

Mentre gli altri, sporchi, brutti e cattivi, comunque hanno messo la quarta e corrono (chi sulla Via della Seta, chi su quella del gas).

 

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