Voglio raccontarvi una storia. Anzi due, entrambe ambientate nel nostro Paese che si fregia di essere culla di civiltà e, soprattutto, di diritto, la cui tradizione secolare viene ostentata con fierezza ed appuntata come una medaglia sui petti tronfi di chi non vuole ammetterne una desolante incapacità di tutela dei più deboli.
Genova. Un uomo uccide la compagna con diverse coltellate al petto, dopo aver scoperto che non aveva lasciato l'amante come promesso.
Il Giudice condanna l'imputato a 16 anni, contro i 30 chiesti dal Pubblico Ministero, motivando la sentenza sulla base del fatto che l'omicida è stato mosso da un “misto di rabbia e di disperazione, profonda delusione e risentimento”. Alla domanda se il killer le facesse pena, il magistrato replica: “Ha vagato per un paio di notti, si è lasciato catturare: per certi aspetti sì, faceva pena. Non ha premeditato per giorni il suo raid, non ha infierito con trenta coltellate come mi è capitato di vedere in altre occasioni molto più truculente”.
San Benedetto del Tronto. Due peruviani sono accusati di violenza sessuale aggravata nei confronti di una loro connazionale che all’epoca dei fatti aveva 20 anni. Il caso è del 9 marzo 2015. In primo grado i due imputati vengono condannati, poiché i medici hanno riscontrato lesioni compatibili con una violenza sessuale, e tracce di psicofarmaci nel sangue che la vittima non ricorda di aver mai assunto.
In Appello, la Corte riforma la sentenza di primo grado, assolvendo gli imputati poichè non è possibile escludere che sia stata proprio la ragazza a organizzare la nottata “goliardica”, trovando una scusa con la madre, bevendo al pari degli altri per poi iniziare a provocare uno dei ragazzi, al quale la ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo di “Vikingo”, con allusione a una personalità tutt’altro che femminile, quanto piuttosto mascolina, che la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare. La Cassazione, bontà sua, ha annullato questa sentenza.
Non mi interessa fare la morale a nessuno, ma in un Paese democratico il diritto di critica è sacrosanto.
Nel nostro sistema penale opera il principio del cosiddetto “libero convincimento” del Giudice, o della “intime conviction”, secondo il quale la valutazione delle prove deve essere riposta alla discrezionale valutazione, al “prudente apprezzamento”, del giudice nel caso concreto.
Ma, come vedete, questo principio apre la strada a pericoli e degenerazioni, perché la discrezionalità del giudice nel caso concreto si può facilmente convertire in arbitrio incontrollato, che poco ha a che fare con l’autonomia ed indipendenza della magistratura nell'applicazione del diritto.
Perciò evitiamo difese preconcette e piccate di tutti quei giudici che sbagliano. Senza violenze verbali o moti rivoluzionari. Ma, per carità, ammettiamo l'errore, altrimenti rischiamo di confondere vittima e carnefice.
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