La Versione di Garpez: un televisore di lusso


Assieme al bollo automobilistico, il pagamento del canone televisivo è una delle spese meno digerite dalla maggior parte dei cittadini



Categoria: La versione di Garpez
13/03/2019 alle ore 08:42



Recita un vecchio adagio che di sicuro c'è solo la morte.

Io aggiungerei anche i pagamenti ed, in particolare, i pagamenti delle bollette relative alle utenze di energia elettrica, acqua e gas. In questo periodo, con puntualità da fare invidia al popolo svizzero, stanno arrivando nelle case degli italiani le fatture dei bimestri di gennaio e febbraio 2019 ed, altrettanto immancabilmente, scorrendo le voci che compongono la somma complessiva da versare per l'energia elettrica, figura anche la prima rata del canone televisivo, meglio conosciuto come “canone RAI”.

Si tratta di una voce di spesa inserita tra le imposte da pagare per la bolletta della luce con la legge di stabilità del 2016 dal governo di centrosinistra, per evitare fenomeni di evasione che, almeno fino al 2016, avevano stime superiori al 25% medio dei contribuenti a livello nazionale per il tipo ordinario.

Credo che, assieme al bollo automobilistico, il pagamento del canone televisivo sia una delle spese meno digerite dalla maggior parte dei cittadini perché, debbo dire al giorno d'oggi erroneamente, questa imposta viene ritenuta un corrispettivo dovuto dagli utenti per il servizio di radioaudizioni che, dal 1938 (quando venne emanata la legge n. 880) in poi vedeva la RAI (appunto: Radio Audizioni Italiane) sostanzialmente l'unica società di Stato ad emettere frequenze radio-televisive.

All'epoca i segnali criptati (per intenderci: le “Pay Tv”) non esistevano e la RAI poteva contare su di un sostanziale regime di monopolio nella programmazione di intrattenimento. Da qui, si ritenne equo far pagare ai cittadini italiani un corrispettivo per il servizio reso dalla RAI prevedendosi, appunto, il pagamento del canone a titolo di tassa.

Con l'affermarsi delle imprese radio-televisive private, del digitale terrestre e, quindi, di un pluralismo di frequenze che hanno eliminato l'originario sistema di monopolio, ci chiediamo (ed in realtà hanno chiesto, nientemeno, alla Corte Costituzionale) se pagare a titolo di tassa una somma di denaro per un servizio che non viene più erogato in via esclusiva da una sola azienda sia ancora legittimo. Sapete come ha risposto la Corte Costituzionale?

Ha risposto sostenendo che il canone RAI ha da tempo assunto, nella legislazione, natura di prestazione tributaria, fondata sulla legge, in quanto la detenzione degli apparecchi è essa stessa presupposto della sua riconducibilità a una manifestazione di capacità contributiva.

Insomma, non più una tassa, ma una imposta perché si sostiene che chi può permettersi almeno un televisore non può non godere di un adeguato tenore di vita. Pertanto l'imponibilità dipende esclusivamente dalla detenzione di un apparecchio, indipendentemente dall'effettiva ricezione dei programmi della Rai o dalla mancanza di interesse a riceverne. Le casse dello Stato sono salve. Ma quelle dei cittadini?

 

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