È da circa dieci minuti che osservo questo figlio bianco, cercando di trovare le parole giuste per spiegare quello che, ai vostri occhi, può apparire come un secondo omicidio. Un offesa. Un vilipendio. Una inaccettabile forzatura giuridica che offende il ricordo di quella vittima.
Il 5 ottobre 2016 Michele Castaldo strangolò a mani nude Olga Matei per gelosia. I due avevano una relazione da circa un mese. L’episodio avvenne a Riccione, dove la donna viveva. In primo grado l’uomo, reo confesso, era stato condannato a 30 anni dal G.U.P. di Rimini per omicidio aggravato dai motivi abietti e futili.
Ma la Corte di Assise di Appello di Bologna (con la sentenza n. 28 resa dalla Sez. I, all'udienza del 28 febbraio 2019) ha dimezzato la pena irrogata a 16 anni, riconoscendo in favore di Castaldo le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza sull'aggravante dei motivi abietti e futili, sulla base del fatto che l’omicidio sarebbe avvenuto “a causa di una soverchiante tempesta emotiva” determinata dallo stato di gelosia dell’imputato.
Come è possibile che la gelosia venga considerata l’attenuante di un omicidio, tale da giustificare addirittura una diminuzione sino alla metà della pena inflitta in primo grado? Non è facile spiegarvi il ragionamento seguito dai giudici, perché se agli occhi degli addetti ai lavori la motivazione resa dalla Corte può avere un senso, per la gente ed i familiari della vittima questa decisione non scende proprio giù. Anzi, viene rigettata, come un corpo estraneo quando si ficca nella faringe.
Ma, comunque, io sento il dovere di spiegarvi. Ma non pretendo che comprendiate. Né, forse, che vogliate ascoltarmi. Probabilmente neanche io vorrei farlo.
I giudici della Corte di Assise di Appello prendono le mosse mostrando di condividere la decisione di primo grado sulla sussistenza della aggravante dei futili motivi di cui all’art. 61 n. 1 del codice penale soffermandosi, in particolare, proprio sullo stato di gelosia provato da Castaldo che costituisce motivo abietto o futile poiché espressione di uno spirito punitivo nei confronti della vittima, considerata come propria appartenenza e di cui va punita l’insubordinazione.
Ma la Corte ritiene che tale motivo abietto possa essere in qualche modo bilanciato con le attenuanti generiche (previste dall'art. 62-bis del codice penale) poiché la gelosia di Castaldo, da considerarsi uno stato “emotivo e passionale” (art. 90 del codice penale), determinò nell’imputato, anche a causa delle sue poco felici esperienze di vita, quella che il perito descrisse come “una soverchiante tempesta emotiva e passionale” che si manifestò subito dopo anche col teatrale tentativo di suicidio.
La spontaneità della confessione dell'omicidio ed il tentativo di risarcire la figlia della vittima sono gli ulteriori elementi valorizzati dalla Corte per dimezzare la pena all'imputato.
Le sentenze non si giudicano. Si impugnano, come già preannunciato dai P.M. di Bologna. Dico solo che il delitto d'onore è scomparso da quasi quarant'anni. Ma evidentemente il rispetto tarda ad affermarsi.
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