Zeppola a parte, che già è un bel problema per quelli che ne curano l'immagine, comincia male Nicola Zingaretti. Perché soprattutto in politica, un leader è un capo.
E dire di non volerlo essere, magari, lo renderà ancor più frou-frou al pariolame che s'è messo in fila per votarlo ma, in verità non ha alcun senso e ne certifica l'irrilevanza.
Puoi essere un buon amministratore di condominio, uno che sa far di conto e che appare disponibile e affabile con tutti ma, nessun ragioniere potrà mai guidare un popolo e men che meno entusiasmarlo.
Nel tentativo di mantenersi distinto, è distante da quel Renzi cui baciò la pantofola divenuto oggi l'artefice di ogni male, il neo segretario del Pd spara la sua prima stupidaggine tra i sorrisi e i consensi di quanti inneggiano alla svolta ma in verità sognano solo di salvare il proprio fondoschiena.
Zeppola a parte, il fratello del Montalbano di Camilleri sa di non aver carisma e, quindi, non vuol essere un capo.
Il problema però è che non lo è davvero. Neppure nel partito che deve accingersi a governare e che di suo è un bel manicomio. Per questo non gli potrà bastare scimmiottare la veltroniana paraculaggine: un leader altro non è che "il" capo riconosciuto da tutti.
È leader (e capo) colui che indica la strada. Che traccia la rotta. Che individua le priorità dell'agire politico. Che sa ascoltare ma, poi, decidere. Non esiste il 'primus inter pares' alla guida dei movimenti politici. Perchè non può esistere babele di voci e di soluzioni diverse. Sigmatismo a parte.
Per questo Zingaretti ha già sbagliato. Perchè così dicendo ha mostrato di non averla davvero la stoffa del leader, proprio nel mentre allontanava da se l'accezione di capo politico. Dimostrando di essere solo un frutto, deteriorato, piazzato al vertice da una congiura di antagonisti. Un traghettatore, nella più fortunata delle intenzioni. Zeppola a parte.
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