Stipendio d'oro a Di Biase, cinque indagati all'Ersi


Costruito a tavolino e gonfiato a regola d'arte, che non doveva e non poteva percepire


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
02/03/2019 alle ore 16:07



Cinque indagati per lo stipendio d’oro all’Ersi. Uno stipendio costruito a tavolino e gonfiato a regola d’arte, che il neo direttore generale dell’Ersi non doveva e non poteva percepire. La procura della repubblica di Teramo, pubblico ministero Laura Colica, ha firmato cinque avvisi di garanzia per abuso di ufficio nei confronti di Daniela Valenza, presidente e componente del consiglio direttivo dell’Ersi (ente regionale del servizio idrico), di Roberto Di Marco, Ilario Lacchetta, Alfonso Ottaviano tutti componenti del consiglio direttivo, perché il 24 aprile 2017, 

“abusando del loro ufficio e in violazione di norme di legge e regolamento, intenzionalmente procuravano a Tommaso Di Biase un ingiusto vantaggio patrimoniale, conferendogli illegittimamente l’incarico di direttore generale dell’Ersi Abruzzo con una retribuzione annua non inferiore a 100 mila euro (quindi non a titolo gratuito), nonostante il Di Biase alla data del conferimento dell’incarico e poi alla data di stipula del contratto avesse superato il limite di età di 66 anni e 7 mesi”,

imposto dalla legge.

Tutti complici, secondo la procura teramana: la Valenza, che è stata anche segretaria di giunta di Luciano D’Alfonso, e gli altri componenti, facevano parte della commissione d’esame che scelse Di Biase come direttore generale dell’Ersi assegnandogli lo stipendio d’oro. Uno stipendio che non poteva percepire, in quanto secondo la legge Madia, ultrasessantenne. E Di Biase è indagato anche lui,

“concorrendo nel reato – conclude la procura – avvantaggiato illegittimamente, che sottoscriveva il contratto di assunzione oltre i limiti di età previsti dalla legge”.

E’ una storia che ha fatto gridare allo scandalo, questa della super retribuzione del direttore generale dell’Ersi, di cui Mapero’ si è occupato in prima battuta. E non solo perché Di Biase era un fedelissimo dell’ex governatore Luciano D’Alfonso, ma soprattutto perché il super stipendio fu generato da una modifica dello Statuto dell’ente. Il 7 febbraio del 2017, due mesi prima dell’incarico all’architetto pescarese, la Regione approvò una modifica che attribuiva al futuro direttore generale uno stipendio d’oro che più d’oro non si può. Anche con tanto di maggiorazione, tanto a pagare era sempre Pantalone. Insomma, una forzatura: intanto perché il trattamento economico di un direttore generale non può essere definito da uno Statuto ma deve farlo la legge istitutiva dell’ente (ma cambiare la legge per Luciano D’Alfonsoavrebbe significato discuterne in Consiglio regionale, e affrontare il muro delle opposizioni); e poi perché alla retribuzione veniva aggiunta una indennità ad personam non legata ai risultati ma alla “specifica qualificazione professionale, anche in considerazione della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato”, insomma una cifra che superava i 120 mila euro. Così, alla faccia della spending review, veniva confezionato lo stipendio d’oro. Ma non solo: in quell’occasione vennero introdotti anche i nuovi criteri di selezione del direttore generale: intanto veniva prevista la laurea ma non la specializzazione nel servizio idrico integrato, e poi venne stabilito che “l’incarico è conferito tramite contratto a tempo determinato di diritto pubblico o con contratto di diritto privato al di fuori della dotazione organica dell’Ersi”.

Una cifra astronomica se si pensa che l’Ersi è figlio di una riforma concepita nell’ottica del risparmio e per accorpare tutti gli Ato abruzzesi.

La nomina di Di Biase fu immediatamente impugnata di fronte al Tar dall’ex dirigente regionale Sebastiana Parlavecchio, quella che tra l’altro aveva la specializzazione nel servizio idrico integrato cancellato dai criteri di selezione con la modifica statutaria del 7 febbraio. La Parlavecchio contestava proprio la modalità di selezione del direttore, visto che lei non era stata neppure ammessa al colloquio. Erano rimasti in due, quel giorno: Tommaso Di Biase e Guido Dezio, altro fedelissimo del presidente. Riferisce il verbale della seduta che il primo a entrare, alle 11.50 del 24 aprile, era stato Guido Dezio. La Valenza si astenne, visto il rapporto di amicizia che la legava al dirigente del Comune di Pescara, e al suo posto fece le funzioni di presidente Roberto Di Marco. Venticinque minuti di colloquio, poi è entrato Di Biase. E alla fine l’ha spuntata l’architetto, ex assessore all’Urbanistica al Comune di Pescara in quota Rifondazione, quando era sindaco Luciano D’Alfonso.

“Entrambi i candidati – si legge nel verbale – hanno dimostrato il possesso di competenze e conoscenze di carattere sia amministrativo che gestionale”.

Tuttavia ha prevalso

“la propensione del candidato Di Biase ad affrontare problematiche di carattere ambientale, quale è appunto la gestione del servizio idrico, come emerge anche chiaramente dall’esperienza riportata nel curriculum”.

Una storia nata male, anzi malissimo se si pensa che l’ Ersi avrebbe dovuto prendere il posto degli Ato, e che al suo interno tutti gli incarichi avrebbero dovuto essere gratuiti. Invece alla fine sono rimasti in piedi tutti, dall’Ersi agli Ato, alla faccia delle riforme. Con tanto di presidenti, consigli di amministrazione, commissari, direttori generali e stipendioni d’oro.

 

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