Cosa ci vuol dire "Frontiera", il corto vincitore del David Di Donatello


Il regista Alessandro Di Gregorio: "Bloccare le frontiere? Non è la soluzione"


di Anna Di Donato
Categoria: ABRUZZO
04/03/2019 alle ore 08:29



Vasto la proiezione, in prima assoluta, del cortometraggio “Frontiera”, vincitore del David di Donatello 2019. In sala il regista Alessandro Di Gregorio, il produttore Simone Gattoni, lo sceneggiatore Ezio Abbate e la montatrice Renata Salvatore. In occasione della proiezione, il sindaco di Vasto Francesco Menna ha consegnato una targa di riconoscimento al regista vastese. Ma di che cosa parla “Frontiera” e com’è nata l’idea di realizzarlo? Impaginato.it lo ha chiesto a Di Gregorio

"Frontiera", il suo corto ha vinto il David di Donatello come miglior cortometraggio. Com’è nata l’idea di realizzarlo?

L’idea è nata dal mio amico sceneggiatore Ezio Abbate. Dopo il 3 ottobre del 2013, la strage che ci fu a Lampedusa, apparve su La Repubblica un articolo di Attilio Bolzoni che parlava di questa storia da un doppio punto di vista, ossia quello di un sub che doveva tirare fuori i corpi e quello di un necroforo che invece richiudeva questi corpi nelle bare.

Ha preso spunto da questo articolo ma poi, in realtà, ha inventato una storia senza dialoghi con questo migrante che è un po’ un miraggio, un po’ un fantasma, un po’ realtà e che a me è piaciuta subito molto. Da lì, abbiamo iniziato un percorso facendo sopralluoghi a Lampedusa, cercando un produttore (che abbiamo trovato in Simone Gattoni della Kavak Film) che sposasse il progetto e così siamo riusciti a mettere in piedi il corto. 

Che cosa rappresenta per lei il termine “Frontiera” che poi dà il nome al corto?

Per me “Frontiera” è un po’ un omaggio anche al libro di Alessandro Leogrande “La Frontiera”. Le frontiere per me non sono altro che linee immaginarie definite dall’uomo sulle cartine geografiche. Non esistono, in realtà, le frontiere. L’uomo da sempre si è spostato e continuerà a farlo, per un motivo o per un altro. Possiamo alzare tutte le frontiere che vogliamo ma ci muoveremo sempre. Quel che ho sempre detto in questi giorni è che mi spaventano molto di più le frontiere mentali che si alzano tra le persone e che ci impediscono di vedere l’altro, di capire come risolvere i problemi, perché ovviamente fa comodo a chi ci governa alzare muri, isolarci, trovare un nemico in qualcuno che è diverso da noi o semplicemente la pensa diversamente da noi. 

Com’è iniziata la sua carriera di regista?

È iniziata quando mi sono trasferito a Roma per studiare, dove ho fatto un corso di regia della Regione. Lì ho conosciuto delle persone con le quali ho scritto una fiction per la Rai. Da quel momento in poi, siccome in realtà non era mia intenzione diventare sceneggiatore ma regista ho cominciato a seguire sul set questa fiction, prima come assistente e poi come aiuto regista. Dalle fiction sono passato alle pubblicità e dalle pubblicità ho iniziato a girare i miei primi lavori da regista, ossia alcuni documentari. 

Ha in programma altri progetti? 

Sì, abbiamo in programma altri progetti da definire e vi stiamo lavorando con lo sceneggiatore e il produttore. Avevamo già intrapreso questa strada, ancora prima di vincere il David di Donatello.

Che cosa pensa dell’attuale gestione dei migranti?

Non c’è una gestione dei migranti da parte del Governo. Tutto ciò che sono capaci di fare è chiudere e bloccare tutto ma questo non è un modo per risolvere. È un modo per eludere quello che potrebbe essere un problema. Secondo me, lo fanno diventare un problema anche perché forse per loro, è meglio così.

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