Conterà, ma solo fino ad un certo punto, chi vincerà le primarie del Pd che si celebrano domenica 3 marzo. Per due motivi di fondo.
Il primo: manca un leader forte e carismatico tra i pretendenti. Si tratta di soggetti dignitosi e ognuno con un rispettabilissimo percorso, ma non sono tre comandanti carismatici. La svolta di Veltroni, al di là delle opinioni personali dei singoli, fu una pietra miliare nel Pd, aprendo di fatto la grande stagione bipolare.
Oggi, chiusa la fase renziana, non c'è un nuovo Walter a prendere per mano ciò che resta del post Bolognina. Martina ha un'impostazione diversa, non certo quella del capitano di una nave che deve affrontare il mare in burrasca. Su Giachetti vi sono ancora molti dubbi legati al suo passato radicale, mentre forse solo Zingaretti ha un quid in più che potrebbe consegnargli la vittoria. Ma anche in quel caso il nodo della leadership ugualmente resterebbe difficile da sciogliere.
Il secondo: la disaffezione dell'elettorato dem non può essere ricucita solo con un nuovo vertice, ma per essere credibile e fruibile ha bisogno di un Lingotto 3.0. Meno slogan e foto in costume da bagno e più concretezza, più programmi e più visioni.
Una svolta che sia reale e non artefatta. Oggi i flussi elettorali sono sempre più liquidi, come dimostrano i voti del M5s in Abruzzo e Sardegna passati, in un nanosecondo, alla Lega di Matteo Salvini. E i selfie non c'entrano poi tanto, se è vero come è vero che anche cittadini di mezza età e anziani (quindi non di giovanissimi twittatoli) hanno scelto la Lega.
Per cui il nuovo Pd, se davvero vorrà avere un ruolo non secondario (non solo nella legislatura in corso, ma nel futuro politico italiano) dovrà guardare al cosiddetto “modello Legnini”. Ovvero ad uno schema che, per funzionare, dovrebbe contenere al suo interno tre elementi: un volto qualificato e edificante, che riesca ad elevarsi non solo dinanzi alla caratura di certi grillini, ma più in generale in un contesto di rappresentatività nazionale; un dialogo fruttuoso con l'universo del civismo, passando per il terzo settore, per i corpi intermedi e per il bacino del non voto che è ancora cospicuo; e infine un Pd che sia gregario di questa strategia. Sì, gregario.
Solo in quel caso, forse, si potrebbe dare vita ad un fronte lib-dem in grado di contrapporsi alla corazzata leghista, che sta fagocitando ciò che resta di Forza Italia e si prepara a stravincere le elezioni europee (il M5s in quanto parentesi è destinata a chiudersi).
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