Schioffo, si chiama schioffo. Il Movimento 5 stelle in Sardegna finisce al tappeto peggio che in Abruzzo ma Di Maio dice che no, non è una sconfitta, tantomeno uno schioffo, e che non bisogna confrontare le mele con le pere e che loro in Consiglio regionale prima manco ci stavano.
Un po’ come disse Sara Marcozzi dopo il flop abruzzese, non dobbiamo paragonare il voto delle Regionali e quello delle Politiche e basta con le ammucchiate. Sì, va bene, consoliamoci così. La strategia dei grillini è la stessa, tale e quale a quella utilizzata da Renzi dopo la prima batosta, e dai partiti in genere.
Uno schioffo che a prima vista sembra inspiegabile: ma come, proprio ora, dopo l’approvazione del reddito di cittadinanza e quota 100? Elettori irriconoscenti, ingrati, da ruba i soldi e scappa.
Ma non è proprio così.
Intanto lo schioffo è schioffo, i 5 stelle sono al governo da otto mesi e avrebbero dovuto bissare il risultato delle Politiche. Invece i loro elettori sono in fuga, si rintanano nell’astensionismo e un po’ anche nel centrosinistra, come è accaduto in Sardegna.
O nella Lega, come si è verificato in modo più netto e marcato in Abruzzo. Insomma, i grillini hanno esaurito la loro carica rivoluzionaria e certo non cambierà molto se apriranno alle liste civiche come ha annunciato il vice premier, anzi: perderebbero ancora di più quella carica rivoluzionaria dichiarata all’inizio dell’avventura, adottando lo stesso stile dei partiti che dichiarano di voler combattere. Insomma, duri e puri finché stanno all’opposizione ma poi al governo tutta un’altra musica. A cominciare dal voto per l’immunità di Matteo Salvini, un vero colpo al cuore per i pentastellati. Ma si potrebbe continuare con l’Ilva, la Tav, la Tap e via sconfessando.
Ma ecco, all’improvviso anche Sara Marcozzi, la candidata presidente dell’Abruzzo che fino a ieri aveva osservato un rigoroso silenzio, fedele al diktat di Di Maio dice che è tutta colpa delle ammucchiate:
“Per il M5S correre solo contro 11 liste di centrodestra e 8 liste di centrosinistra è una lotta impari, proprio come è avvenuto in Abruzzo un paio di settimane fa – ha dichiarato all’Adnkronos – Il paragone con le politiche non si può fare – sottolinea Marcozzi – Alle regionali la legge elettorale è diversa, il numero dei candidati e le condizioni sono diverse. Noi scontiamo il fatto di aver deciso, fino a oggi, di non appoggiarci a liste civiche. E’ chiaro che se ti vai a scontrare uno contro undici liste parti svantaggiato”.
Insomma, per la Marcozzi è ora di fare una riflessione, anche per quel che riguarda il limite dei due mandati per i consiglieri.
“Non ho preclusioni sui dogmi e principi che sembravano assolutamente insuperabili, auspico un confronto sui temi e nel merito di quello che può servire a farci crescere, per far crescere l’Italia”.
Ma non è così che funziona. Non si possono contestare le regole del gioco dopo, a partita chiusa, quando si perde, nessuno ti obbliga a giocare contro chi partecipa in coalizione. Quelle regole le conoscono tutti, dall’inizio. Altrimenti si fa la figura di chi vuole portarsi via la palla ad ogni costo. E alla fine frigna come un bambino viziato (una metafora, questa, usata da un pentastellato abruzzese).
Il voto in Sardegna regala un’altra fotografia: anche lì Matteo Salvini si è impegnato ventre a terra quasi come in Abruzzo, ma la sua non è stata una grandissima performance, non una cavalcata trionfale come qui. Va bene ma non benissimo. E poi: il voto in Sardegna e in Abruzzo definisce una nuova geografia tripolare delle forze in campo: col centrodestra unito (con la Lega) che diventa forza maggioritaria, il centrosinistra al secondo posto e a quanto pare in ripresa, e il Movimento 5 stelle in caduta libera che perde 32 punti in un anno passando dal 42,5 delle scorse politiche al 10 (scarso) per cento. Insomma, mai visto un partito che attraversa a passo trionfale il campo, sicuro di vincere, e in un anno disperde il 32 per cento dei consensi. Una batosta così potrebbe indurre Matteo Salvini a tirarsi indietro prestissimo e a determinare una crisi di governo, prima ma molto prima che arrivi il conto di quota cento e del reddito di cittadinanza sul bilancio dello Stato. Insomma, quella dei grillini è una crisi identitaria, forte, che è iniziata dal momento in cui hanno messo piede nel governo.
Il risultato sardo alla fine assolve almeno un po’ la candidata del Movimento in Abruzzo, Sara Marcozzi: no, probabilmente non è stata sua la responsabilità della debacle pentastellata, non solo perlomeno. Ma ogni regione ha una storia a sè.
Tanto che le critiche degli attivisti continuano a mettere sotto accusa il vertice del movimento, colpevole di non ascoltare la base, di espellere chi critica, chi non è allineato, insomma un vertice come tutti i vertici di partito, che si fa un po’ gli affari suoi.
Un attivista autorevole, che sta nel Movimento 5 stelle da dieci anni, come il teramano Claudio della Figliola, ha scritto giorni fa a Beppe Grillo, dopo il voto su Salvini: bisogna far capire a chi guida il movimento
“di incontrare la base, di confrontarsi, di rispettarla e di farla partecipare alle scelte per la vita stessa del M5s”.
E ancora:
“La franchezza e trasparenza mi porta a dirti che le scuse, il metterci la faccia me le sarei aspettate dal capo politico del Movimento 5 stelle, dal candidato presidente della Regione Abruzzo, da quei pochi saccenti eletti del M5s, dal famoso mister X della provincia di Teramo che decide candidature regionali e no, incide sulle scelte dei consiglieri comunali e da qualche tempo si destreggia anche per la scelta di chi deve ricoprire incarichi istituzionali”.
Insomma, di errori ne sono stati fatti in Abruzzo, eccome. I dissidenti citano un episodio per tutti: la foto diffusa sui social dopo il voto del 10 febbraio. Tutti sorridenti ed esultanti, con la Marcozzi in prima fila.
Tutti chi? Il vertice, naturalmente, compresi parlamentari e sottosegretari. Il dissenso? Non esiste. Le critiche? Tutte inventate. Ma uno non valeva uno?
ps: Ma quando mai, una volta. Adesso la rivoluzione è finita.
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