"Abbiamo visto un film": monoversi e poesia visiva nel libro di Astolfi


Un'opera unica nel suo genere in Italia


di Redazione
Categoria: Eventi e Cultura
20/02/2019 alle ore 19:45



Venerdì 22 febbraio alle ore 18:30, la nuova Galleria d’arte contemporanea Spazio Bianco (sita a Pescara in via Regina Margherita, 6) ospiterà la presentazione del libro “Abbiamo visto un film” di Andrea Astolfi, 29 enne atriano che studia e lavora a Milano. 
Si tratta di un libro unico nel suo genere in Italia, stampato su carta fotografica in 150 copie numerate e firmate, autoprodotto che si legge in double face, ossia in italiano e in inglese. 

“È stato finalista nella prima edizione del premio letterario “Beppe Salvia” del 2018 ed è, ma al contempo non è, un libro di poesia. Astolfi è infatti un poeta visivo. Fotografa parole. Un poeta di “monoversi”, frames lirici. Si ispira agli haiku giapponesi ma ne scarnifica ulteriormente, definitivamente la metrica. La nuda e lucente pagina bianca sovrasta e restituisce peso al pochissimo testo steso. Con fotogrammi di senso, l’autore cerca di catturare il qui e adesso, lasciando libero il lettore di vagare con la fantasia. “Abbiamo fatto un film” è un libro/oggetto d’arte, capace di infinite narrazioni estetiche e contenutistiche. Della serie, quando il vuoto può dire molto, se non tutto. 
Una sorta di risposta, la sua, al diluvio di chiacchiericcio senza senso che riveste la nostra epoca. Alla letteratura in streaming”. 

“È un libro costruito per sottrazione piuttosto che per implementazione, dal momento che sono arrivato alla forma attuale del libro attraverso la decostruzione di un libro omonimo di poesia lirica che non vedrà mai la luce. È quindi un libro sulla decostruzione della materia poetica e sulla possibilità creativa che ne deriva”, spiega Astolfi, “Abbiamo visto un film difatti inizia come un libro di poesia tradizionale, ma presto il meccanismo si inceppa e la scrittura inizia ad asciugarsi progressivamente. Si arriva così a una scrittura che guarda all'haiku (ma non si tratta di haiku) e all'estetica del vuoto sino/giapponese, che inizia a trapelare mano a mano sulla pagina. Questo libro difatti segna una svolta nella mia ricerca, ovvero un passaggio da una scrittura in forma di poesia lirica a un primo livello di non-scrittura, di grado zero della scrittura. Credo sia un libro che tenda più verso il mondo dell’arte propriamente detta. Il bianco della pagina è centrale in tutto il discorso che si dipana, poiché permette al lettore una libertà e una possibilità immaginativa molto forte che in un discorso articolato verrebbe necessariamente meno”. 

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