È la tempesta perfetta che spinge Matteo Salvini. Il quale è bravo di suo ma, chiaramente, ringrazia per la costante attenzione cui è sottoposta la sua attività politica. Lavorano tutti perchè il leghista stravinca, perchè quell'empatia con gli italiani cresca giorno dopo giorno. I suoi avversari politici e i presunti alleati, l'establishment bancario e industriale e, infine, anche quella magistratura in cerca d'attenzione (mediatica).
È la tempesta perfetta. È una concatenazione piuttosto unica di eventi che sta trascinando la Lega e il suo leader sempre più in alto. Che dà vita ad un ciclone devastante nel cui occhio Salvini se ne sta perfettamente a suo agio, addirittura placido, mentre tutt'intorno infuriano distruzione e rovina.
Quella che fu Forza Italia, la macchina messa in campo da Silvio Berlusconi, evapora e si dissolve lentamente grazie alla diaspora delle intelligenze e alla sicumera delle residue presenze. Una fine che anche il Cavaliere di Arcore ha capito essere incontrovertibile quando ha dovuto prendere atto che neppure il suo ritorno in campo ha sortito effetto. Ragion per cui non è ancora detto che deciderà di presentarsi davvero alle europee di fine maggio col rischio di essere ridicolizzato da chi un tempo poteva solo ricopire il ruolo il fido alleato. Un fatto - questo - che sta mandando ai matti tutte quelle nullità che si ritrova avvinghiate addosso. Quelli che sperano, grazie alla sua presenza, di poter mantenere un seggio altrimenti davvero a rischio quorum.
Alla sua sinistra il Pd sta andando anch'esso -e velocemente- in frantumi, stritolato dalla guerra per bande e dal rischio di un distacco della componente di Matteo Renzi, colpito negli affetti ma, pronto a dar vita ad un nuovo contenitore politico dopo le europee. Chiaro che non può essere Nicola Zingaretti, ragioniere dell'esistente senza alcuna scintilla, a rinverdire i fasti di appena cinque anni addietro. Nè c'è altri che non il già visto e rivisto, capace di bloccare l'emorragia.
È la tempesta perfetta.
Che ha sballato anche i Cinquestelle, apparsi più che sprovveduti e più che ondivaghi. Incapaci di capire, ad oggi, che una volta al governo il tema della protesta deve rapidamente mutare in proposta. Spaventati dal dogma di una magistratura venerata sempre e comunque giusta, pur vedendo bene - il caso Diciotti è emblematico - che così non è. Impauriti e dubbiosi, praticamente imbranati, nel decidere chi li rappresenti e come (basta guardare la Rai per capire!). Senza alcuna strategia comunicativa capace di spiegare all'elettorato, in modo netto, quel che vogliono fare e perchè.
Basti per tutti l'esempio della Tav, ovvero non un No ad un treno ad alta velocità per passeggeri (come si potrebbe intendere altrove dalla val di Susa) ma, ad una linea merci vecchia di trent'anni e del tutto inutile rispetto alle vere emergenze che ci sono ovunque in Italia.
Salvini sorride e sta a guardare. Gira come una trottola e aspetta che il frutto maturi. Sa che la fretta è pessima consigliera e ostenta tranquillità. Non dev'essere altri che se stesso. A innalzarlo, a spingerlo, a farne un ciclone ci pensano gli altri. Indicandolo, accusandolo. Dedicandogli ogni giorno ogni contestazione possibile, scritta e parlata. La tempesta perfetta, appunto.
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