Più manicomio che laboratorio. Si, solo a rifletterci le regionali d'Abruzzo, fanno venire il malditesta. Una contesa elettorale che è un unicum. E che, forse, proprio per la difficoltà di incastrare i protagonisti in uno schema nazionale predefinito, ha tenuto ben distante la grande stampa, tranne qualche lodevole eccezione.
Due "indigeni" e un "oriundo" si contendono la presidenza di questa regione dove tutti, ma proprio tutti, gli schemi politici sembrano saltati o, per lo meno, messi da parte.
Più manicomio che laboratorio.
Con un centrodestra, quindi, che schiera - fatto assai singolare - un "abruzzese di Roma". Uno che è stato persino segretario regionale del Lazio per il suo partito. Come a confessare: nessuno di noi va bene perciò il candidato ve lo portiamo da fuori. Anche se, in verità, il candidato vincente c'era, eccome se c'era!, e non è escluso che in queste ultime ore possa brigare per rendere pan per focaccia a chi lo ha voluto far fuori.
Più manicomio che laboratorio.
Con l'amazzone grillina che da un lato spera e dall'altro si dispera. Spera che si confermi sul suo nome il clamoroso consenso che gli abruzzesi hanno regalato ai Cinquestelle il 4 marzo 2018 e spera anche sul sostegno sottotraccia del voto leghista che antipatizza per l'"oriundo". Dopodiché si dispera per le improvvide, avventate e, spesso, ridicole sparate dei suoi sponsor (i ministri pentastellati!) che girando per la regione hanno provato ad azzoppare la sua cavalcata elettorale con gaffes e bugie un tanto al chilo.
Più manicomio che laboratorio.
Con una sinistra, infine, talmente consapevole dei disastri inanellati dalla precedente amministrazione piddina da trovarsi costretta - per non sprofondare nell'irrilevanza - a presentare un nome di qualità e spessore nazionale del tutto diverso e dissimile che è persino riuscito a dialogare con porzioni qualificate di quel centrodestra che guarda al civismo.
Più manicomio che laboratorio. Ma ormai è fatta: coraggio Abruzzo!
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