"Secessione" dei ricchi, quali le conseguenze (al centro e al sud)?


Ecco quanto potrebbe costare all'Italia e all'Abruzzo l'azzardo


di Emma Derossi
Categoria: ABRUZZO
29/01/2019 alle ore 15:17



Italiani di serie A e italiani di serie B? È davvero questo ciò che si prospetta con l’entrata in vigore della concessione dell’autonomia per tre regioni del Nord Italia, ossia Veneto, Lombardia e in parte Emilia Romagna? Ci sarà dunque una sorta di “secessione dei ricchi”, come paventato da una petizione firmata da 15mila persone, tra cui economisti e giuristi? 

Il governo assicura di no. Secondo quanto garantito dai vertici nazionali, le regioni che godranno di autonomia non faranno gravare spese finanziarie a scapito del resto del Paese. A quanto pare, infatti, il passaggio di competenze da Stato a Regione avverrebbe solo convertendo spese dello Stato in spese regionali. 

PETIZIONE

Sembrerebbe tutto molto semplice, dunque, ma potrebbe non essere così. Il punto è che i fabbisogni di spesa per le nuove competenze regionali sarebbero legati al gettito fiscale (dopo il primo anno e per i successivi cinque), il che significa che maggiori saranno i suddetti fabbisogni, più elevato sarà il gettito. Più un cittadino è abbiente, più tasse paga e maggiore sarà il suo diritto alla spesa pubblica.

Ma chi la finanzierà? Una “maggiore compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali”. In altre parole, non vi sarà alcun aumento fiscale a carico della Regione. Vi sarebbero, quindi, due aspetti che i firmatari ritengono incostituzionali: maggiori spese per le regioni più ricche che graverebbero sul resto d’Italia e più diritti al welfare per i cittadini più abbienti. Oltretutto queste cose si verificherebbero senza definire i livelli essenziali delle prestazioni sociali, i cosiddetti Lep, da assicurare in maniera omogenea in tutto il Paese, come prescritto da una legge mai rispettata.

Ne è un esempio la scuola in Lombardia. Pare che il governo abbia intenzione di accettare, gradualmente, la regolarizzazione della scuola e dell’università, a partire dallo staff, con contratti collettivi regionali. Tutto questo non per solo allo scopo di introdurre istanze regionalistiche nella didattica e nell’organizzazione, ma soprattutto per aumentare lo stipendio dei propri insegnanti.

Secondo l’economista Gianfranco Viesti, promotore della petizione, “chi insegna in una scuola al centro di Treviso o Milano potrebbe essere pagato più di chi lavora, con difficoltà maggiori, nelle periferie di Roma o Napoli, in base al principio che i suoi studenti sono più ricchi”. Secondo le stime degli economisti del Cnr, Andrea Filippetti e Fabrizio Tuzi, il costo delle prime cinque competenze (salute, lavoro, ambiente e istruzione senza trasferimento staff) ammonterebbe a 1,2 miliardi. Con personale scolastico, aumenterebbe di 10 miliardi e potrebbe addirittura raddoppiare se si tiene conto del totale delle competenze da trasferire. 

Certo, si potrebbe obiettare che tali spese sarebbero sulle spalle delle Regioni e non più dello Stato, trattenendo quindi una quota maggiore di entrate fiscali. Tuttavia gli autonomisti non si accontenterebbero di tale trasferimento finanziario e per avere maggiore capacità fiscale, vorrebbero che quelle spese aumentassero e fossero finanziate con una bella fetta di tasse nazionali. Qui si inserirebbe il discorso del residuo fiscale. Dato che le tre regioni in questione pagano più tasse di ciò che ricevono di spesa pubblica, e ciò che resta va alle regioni con maggiore difficoltà, ossia quelle del Sud, loro vorrebbero gestire quei soldi al proprio interno. 

Tempo fa il Veneto aveva richiesto lo stesso statuto speciale del Trentino Alto Adige, quindi la possibilità di spendere il 90% delle tasse al suo interno. La richiesta non è stata accolta perché secondo la Consulta avrebbe minato i “legami di solidarietà tra popolazione regionale e resto della Repubblica”, pregiudicandone l’unità giuridica ed economica. 

Ecco quindi la loro possibile strategia: rinunciare alla battaglia dell’autonomia fiscale e chiedere di trasferire solo le competenze ma, a quanto pare, starebbero cercando di strappare, tramite nuova stima dei fabbisogni, una spesa maggiore da finanziare trattenendo tasse sul territorio. 

Tale discussione però starebbe avvenendo non in Parlamento ma in trattative segrete tra governo e Regioni. L’accordo diventerebbe poi disegno di legge e a quel punto le Camere potrebbero solo approvare o respingere senza l’assenso della Regione. Se approvata, la legge non potrà essere cambiata per almeno 10 anni senza l’assenso della Regione. 


ABRUZZO

Secondo una stima, il valore del residuo fiscale pro-capite in euro della Regione Abruzzo nel periodo compreso tra 2013 e 2015 è stato di -2.364 euro. Se le tre regioni dovessero ottenere l’autonomia come sembra che accadrà nel mese di febbraio come potrebbe risentirne l’economia abruzzese? 
Secondo l’ex deputato Fabrizio Di Stefano quello del federalismo e della divaricazione di ruoli e competenze, ossia della cosiddetta autonomia, sono due temi estremamente delicato e tecnico per parlarne in maniera così superficiale. "E anche il referendum fatto lo scorso anno dalle regioni del nord ha visto una bassa partecipazione ed ancor di più una non attenta analisi delle varie sfaccettature della vicenda. In primo luogo il fattore fiscale, la fiscalità regionale: il pil prodotto in una regione implica che la tassazione effettuata sullo stesso resti nell’ambito regionale o no? Vedo invece che molti si avventurano in valutazioni e proclami sull’argomento senza conoscere effettivamente cos’è l’autonomia regionale e quali aspetti implica".

E aggiunge: "Altro aspetto, ad esempio, riguarda tutte quelle norme che sono materia concorrente con lo Stato Nazionale. Anche qui: come ci si approccia a questa spinosa problematica? È evidente che occorrerebbe dirimere la questione, cioè se ci dovesse essere autonomia regionale appare evidente che si dovrà, attraverso un lungo iter parlamentare, dirimere quali saranno, tra le materie “concorrenti” , quelle di pertinenza esclusivamente regionale e quali quelle nazionali. Questi sono solo alcuni semplici esempi, ma è chiaro che questa è una tematica così complessa che non si può liquidare con semplici slogan o proclami! Troppo spesso in Italia ultimamente si studia poco e ci si lancia in proclami troppo facilmente”. 

twitter@ImpaginatoTw