Incostituzionale la legge d'Abruzzo sulle imprese


Accolto il ricorso presentato dall'ex presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
08/01/2019 alle ore 08:23



Un’”inutile complicazione”, una legge che invece di semplificare finisce per ingarbugliare e aggravare gli oneri e la burocrazia delle imprese. E che non tiene in nessun conto i vincoli ambientali e paesaggistici, e anzi ci passa sopra come un trattore. Altro che semplificazione, altro che aiuto.

Niente di tutto questo: la legge 51 del 4 settembre 2017, intitolata “Impresa Abruzzo competività, sviluppo, territorio) approvata dal Consiglio regionale abruzzese su proposta dei consiglieri di opposizione Lorenzo Sospiri e Mauro Di Dalmazio (con la “convergenza” del vice presidente Giovanni Lolli), è costituzionalmente illegittima ed è stata bocciata dalla Corte costituzionale con la sentenza 246 del 2018.

L’ennesimo autogol della giunta D’Alfonso. La Consulta ha accolto il ricorso presentato dall’ex presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni rilevando che la legge regionale deroga alle leggi statali e “non realizza una evidente semplificazione del procedimento, finendo anzi per tradursi in un’inutile complicazione per gli operatori economici”, soprattutto quando stabilisce che dovranno rivolgersi al Cur (che sostituisce la Scia unica), un nuovo organismo istituito dalla legge 51 che secondo Dalfy dovrebbe controllare i procedimenti amministrativi previsti dalla legge statale, per l”avvio, svolgimento, trasformazione e cessazione di attività economiche, nonché per l’installazione, attivazione, esercizio e sicurezza degli impianti”.

Insomma, se in tutto il territorio nazionale il legislatore aveva badato ad uniformare la normativa, proprio per rendere più agili e snelli i procedimenti per le imprese e soprattutto per metterle tutte nelle stesse “condizioni di partenza”, la Regione Abruzzo ha pensato (male) di modificarli per istituire delle regole diverse, molto più complesse e complicate. Ha fatto quindi esattamente l’opposto di quanto è consentito dalla legge: le Regioni possono migliorare la legge statale, semplificarla, eliminare alcuni passaggi, renderla più snella ma non certo modificarla in peius.

“Ciò che è invece precluso al legislatore regionale – spiega infatti la Corte Costituzionale nella sentenza – è di introdurre un modello procedimentale completamente nuovo e incompatibile con quello definito a livello statale, giacché un intervento di questo tipo finirebbe per complicare le attività connesse allo svolgimento di un’impresa, imponendo ai suoi destinatari l’onere aggiuntivo della non facile individuazione della normativa in concreto applicabile”.

E pensare che quella dalfonsiana si autoqualifica proprio come “legge per la semplificazione”, obiettivo definitivamente fallito.

Ma non solo. E’ talmente chiaro che la legge 51 aggrava gli oneri per le imprese, a dispetto di quanto dichiara, che basta leggere un ulteriore passaggio. Se la legge statale prevede un termine massimo di trenta giorni per l’adozione delle misure prescritte, la Regione Abruzzo le allunga a sessanta. E poi ci sono una serie di altri meccanismi complicati come la convocazione della conferenza dei servizi non per via telematica, termini e scadenze che aggravano in modo indiscutibile la vita delle imprese, tutti ritenuti illegittimi dalla Corte costituzionale. Più chiaro di così.

E per finire, un ulteriore allarmante passaggio: la Regione non ha previsto nella legge la cosiddetta “opzione zero” cioè il dissenso assoluto sull’opera neppure nel caso in cui siano coinvolti beni culturali e paesaggistici. Insomma i progetti secondo Dalfy vanno approvati, punto e basta. Alla faccia dei vincoli e dei beni da tutelare e della stessa normativa statale e dei piani paesaggistici. Un passaggio, anche questo, bocciato dalla Consulta.

E sempre a proposito di vincoli, c’è un altro passaggio che la dice lunga sulla scarsa attenzione riservata dalla Regione Abruzzo ai temi ambientali. La Consulta scrive nella sentenza che rispetto ad atti e procedimenti che riguardano il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la tutela del rischio idrogeologico, la salute e la pubblica incolumità, il principio del silenzio-assenso, così come previsto dalla legge statale, non vale. Cioè, in questi casi, la regola del silenzio-assenso non va applicata perché alcune scelte devono essere espresse “in maniera maggiormente consapevole” e cioè in forma scritta. Aspetto non previsto dalla legge regionale abruzzese.

ps: un altro, incredibile autogol. Alla faccia dell’ambiente e delle imprese tanto corteggiate.

 

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