L'Epifania, con Daniele nel cuore


Un anno, un grande vuoto: Daniele Becci è morto esattamente il 6 gennaio dello scorso anno


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
06/01/2019 alle ore 08:48



Ciao Daniele, è passato un anno. 

E sembra ieri. Un anno, un grande vuoto: Daniele Becci è morto esattamente il 6 gennaio dello scorso anno all’improvviso, un conto che la vita gli ha presentato in maniera beffarda appena sette giorni dopo la sua elezione a primo presidente della Camera di commercio unica Chieti-Pescara, un capolavoro di politica e diplomazia al quale lui aveva dedicato gli ultimi due anni di vita.

Pescara con lui ha perso un protagonista appassionato, un interprete genuino della sua way of life, generoso, intraprendente, visionario, insostituibile. Un eterno ragazzo, un invincibile, con la battuta pronta, le braccia sempre aperte. Un uomo che sapeva dialogare con tutte le anime della politica, mediando unendo tessendo e conquistando tutti col suo irresistibile sorriso.

Mapero’ lo vuole ricordare con le parole di Enzo Di Baldassarre, il suo amico più leale, presente, assiduo, un amico di quelli veri, che tutti vorrebbero avere. Con Enzo, scherzava Daniele, trascorro più tempo che con mia moglie Francesca. Ed era vero. Non ci sarebbero parole più belle, per ricordarlo.

L’epifania tutte le feste si porta via.

Un detto antico che sta a significare la fine delle gioie e dei bagordi natalizi. È una di quelle feste che lasciano una sorta di amaro in bocca, un barlume di tristezza.

Ne ho vissute tante di befane ma non le ho mai celebrate con attenzione.

L’epifania del 2018 però, non la dimenticherò mai.

Daniele non era solo un amico, il migliore che potessi avere. Daniele era capace di diventare parte della tua vita. Scanzonatamente irruento, tanto da condizionarti il quotidiano e da stravolgerti le abitudini.

Ma una storia così non può racchiudersi in un giudizio. È troppo importante e bella per essere liquidata banalmente.

Erano le 6 del mattino di una giornata invernale, pioveva ed ero all’aeroporto di Pescara. Destinazione Milano per una di quelle convention fra imprenditori del mattone e la politica accompagnati dal Presidente dell’Associazione Costruttori.

Il volo è stato già chiamato, il Presidente non si vede. E qui comincia l’avventura. Appare nel buio invernale che avvolge l’aeroporto. Scusatemi ma non posso venire. Andate voi. Non ricordo il motivo ma ricordo il sorriso. Gli occhi svegli nonostante l’orario. Avrebbe potuto telefonare e dire che non sarebbe arrivato. Venne, invece, perché sapeva come prendere le persone.

Non ricordo molto della trasferta milanese. Ma quell’incontro, quella conoscenza durata pochi minuti mi colpí. Mi avrebbe cambiato la vita e non lo sapevo.

Ci rivedemmo pochi giorni dopo. Poche parole scherzose: Mi dicono che ci sai fare. Dobbiamo parlare. Anzi vieni di là che dobbiamo fare una trattativa. Dopo 10 minuti di discussione ci cacciarono tutti e due dalla stanza della riunione. Ridevamo. Era quello che volevamo. Iniziare una battaglia. La cominciammo insieme. Quante ne seguirono.

Un suo periodo difficile come ne capitano spesso nella vita ci cementò definitivamente.

Ci si sentiva ogni giorno. Più volte al giorno. Ci si vedeva ogni giorno. Più volte al giorno.

Il legame divenne così stretto che arrivammo a condividere le questioni più personali. Confrontarsi? Praticamente un’esigenza. Una debolezza? No. Una forza incredibile che ci dava determinazione. E così anche la crescita dei figli fu punto di coesione. Parla con Alessandro, a te ti ascolta. Senti Ludovico, gli serve un consiglio.

Un’unica certezza: qualunque cosa fosse accaduta, l’altro ci sarebbe stato.

Battaglie… tante. Soddisfazioni …. oltre ogni aspettativa. Sconfitte? Immancabili, ma senza delusione. Tanto eravamo certi di riuscire sempre a spuntarla. Così fu.

Quanti amici si sono uniti. Seguivamo una selezione naturale e semplice ispirata dall’antico saggio cinese: per chi ti tradisce una volta, vergogna per lui. Per chi ti tradisce la seconda, vergogna per te. Dare fiducia era l’imperativo. Non consentire una seconda possibilità a chi ti aveva deluso era la naturale conseguenza della fiducia tradita. Gli amici divennero tanti, leali e certi. Era una squadra coesa che all’unisono ha raggiunto grandi soddisfazioni. L’unione era un punto di riferimento. Il fulcro, però, era lui.

Quanto tempo, giorni mesi ed anni, sempre affianco in un confronto instancabile. Sempre a discutere. Mai una lite. Quante risate. Quante battute. Abbracci, pacche sulle spalle. Momenti incredibili che scandiscono le vite. Tu c’eri sempre per noi. C’eri per me. Non sei mai mancato come quella mattina in aeroporto in cui preferisti presentarti di persona rispetto a una fredda tefonata che ci avrebbe mantenuto estranei, non ci avrebbe mai fatto incontrare davvero.

Ti definivo affettuosamente carta vetrata, per significare il realismo con cui affrontavi con verità la vita. Ma le tue caratteristiche erano molte altre. Una scuola di vita per tutti.

Strategia e lealtà. Questo ci ha uniti. La ricerca di obiettivi da raggiungere, sempre giocando alla regola, conquistando il rispetto e la stima, senza vendere illusioni, senza ingannare, senza apparire quello che non si era. Quanto eravamo anacronistici. Ma quanti ne abbiamo trovati che la pensavano come noi? Tanti.

Abbiamo scoperto che l’umanità che ci circonda non è poi così ambigua, anche in questa Pescara, nota per divorare i suoi figli migliori.

Quell’ultimo Natale, come sempre vissuto insieme, nella tensione di quell’ultima nomina, quell’ennesimo capolavoro del 29 dicembre. La Presidenza più ambita e sofferta.

Le tue parole alla proclamazione. Poche. Vado nell’altra stanza a lavorare hai detto. Quel volto grigio. Il fiato corto. Lo sguardo intenso ma sofferente. Un bicchiere d’acqua. Un attimo di respiro e via come niente fosse.

L’ultima telefonata. Ero in aeroporto anche quella sera verso le 11. Tornavo da Milano, era buio e pioveva. È destino che l’inizio e la fine si ricalchino. Ci siamo raccontati le novità. Soprattutto della tua visita medica. Ne hai riso. Scanzonato anche in quella occasione.

La mattina la notizia del tuo ricovero mi coglie impreparato. Ho strane sensazioni. Sono nei corridoi quando mi fai chiamare da quel letto neutro, nel gelo del reparto intensivo.

Stai meglio, la crisi è superata. Grazie a dio. Anzi alla befana.

Poche battute per non affaticarti. Ho freddo mi hai detto. Tirami su il lenzuolo. Sorrido. Ti copro. Uscendo mi giro, incrociamo lo sguardo. Ci vediamo stasera alle 7. Mi sorridi. Non lo sapevo, era l’ultimo.

Le 7 di sera di quella insulsa befana. Il telefono che squilla. Il computer che si spegne. La testa che scoppia. Un urlo nel vuoto.

Non riesco a decidere di raggiungerti. Non voglio accettare quella verità che abbiamo sempre inseguito e che questa volta è implacabile.

È una verità nera. È una maledetta befana nera.

Sei riuscito anche in questo Daniele. Hai dato un senso ad una festività che non ho mai sentito tale.

Da quest’anno, ogni anno, la celebreremo l’Epifania, con un sentimento nel cuore. Con te nel cuore.

 

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