La versione di Garpez: dopo la laurea, meglio il carcere


Molti rovano occupazione con stipendi e salari sugli 800 euro al mese. I più disillusi fuggono all'estero. E poi ci sono i detenuti


di Garpez
Categoria: La versione di Garpez
29/11/2018 alle ore 07:33



Oggi desidero proporvi un quesito la cui risposta potrebbe sembrarvi (abbastanza) scontata: per avere maggiori possibilità di trovare un'occupazione adeguata alle nostre aspirazioni, è meglio laurearsi o no?

Immagino già che, sulla base delle esperienze lavorative personali di ciascuno, ognuno di voi risponderà positivamente o negativamente a seconda dei risultati ottenuti a seguito di un ciclo di studi più o meno specializzato.

Forse avrei dovuto porvi la domanda in maniera un po' più generica, chiedendovi se qualificarsi ed emergere a livello di conoscenza teorica in un determinato settore, consente effettivamente di avere migliori “chances” di occupazione.

Al riguardo ho una personalissima opinione, strettamente collegata ad un ideale di meritocrazia che, al momento, non riscontro come criterio primario per la selezione dei migliori.

Nel nostro Paese ci sono migliaia di eccellenti giovani (e meno giovani) laureati o, comunque, specializzati in determinati settori che non riescono a trovare lavoro dopo anni di sacrifici o che, nel migliore dei casi, trovano occupazione con stipendi e salari sugli 800 euro al mese. I più disillusi fuggono all'estero.

E poi ci sono i detenuti. Che vanno certamente reinseriti nel tessuto sociale, ci mancherebbe. Ma farlo a condizioni a dir poco di favore mi pare eccessivo. Ed anche uno schiaffo ai giovani (e meno giovani) di cui sopra.

L'art. 15 dell’ordinamento penitenziario (la legge 26 luglio 1975 n. 354) individua il lavoro come uno degli elementi del trattamento rieducativo stabilendo che, salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato è assicurata un’occupazione lavorativa.

Il lavoro dei detenuti è remunerato: ai sensi del d.lgs. 124/2018, la remunerazione per ciascuna categoria di detenuti e internati che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria è stabilita, in relazione alla quantità e qualità del lavoro prestato, in misura pari ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi.

In termini pratici, attualmente un detenuto guadagna quasi mille euro al mese per ogni detenuto, più eventuale tredicesima e quattordicesima.

Quasi quanto un agente di polizia penitenziaria che si occupa di garantire la sicurezza all'interno delle carceri con turni e modalità di lavoro spesso massacranti.

C'è qualcosa che non torna, non credete?

 

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