Tra le forme di manifestazione di uno spirito realmente democratico, proprio di ogni Nazione che rifiuti l'oscurantismo e la dittatura (anche solo morale) quali mezzi di controllo dell'opinione pubblica, la libertà di pensiero e di espressione – ovviamente entro limiti lessicali continenti e non offensivi – ritengo siano delle garanzie irrinunciabili che appartengono al bagaglio dei diritti fondamentali ed incoercibili di ogni cittadino.
Con la parola ed il pensiero “liberi" ci confrontiamo, dialoghiamo, entriamo in un costruttivo conflitto di opinioni ed, in definitiva, cresciamo.
Tuttavia, converrete con me che ci sono particolari affermazioni provenienti da determinati individui i quali, in ragione della loro innegabile autorevolezza, sono in grado di creare sacche contrapposte di orientamenti che, rispettivamente, sostengono o avversano quel convincimento.
Non più tardi di qualche giorno fa, ho letto alcune dichiarazioni rese dal dott. Piercamillo Davigo che meritano qualche spunto di riflessione.
Devo subito permettere che va riconosciuto al dott. Davigo una indipendenza ed onestà di pensiero che hanno da sempre caratterizzato l'uomo ed il magistrato, da quando, nel lontano 1992, fece parte del “pool di Mani Pulite", sino ad oggi, Presidente della II Sezione Penale presso la Corte suprema di cassazione e, dall'aprile 2016 all'aprile 2017, già Presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati.
Intervistato da un giornalista del Corriere della sera, il dott. Davigo ha sostanzialmente rivendicato la necessità (se non la legittimità) dello strumento della carcerazione preventiva per ottenere la confessione degli indagati, spiegando che, al tempo di “Mani Pulite”, non si arrestava per far confessare, ma semplicemente si scarcerava dopo la confessione, poiché solo in quel momento poteva ritenersi non più attuale il pericolo di reiterazione del reato.
Circa un anno fa, inoltre, il dott. Davigo ebbe a dichiarare in una trasmissione televisiva che, in buona sostanza, se una persona viene assolta non è innocente e se viene condannata ingiustamente il giudice non è colpevole perché, in entrambi i casi, c'è stato un errore per difetto o per eccesso degli inquirenti e della polizia giudiziaria.
Ora, pur rispettando il pensiero di tutti, e quindi anche del dott. Davigo, mi chiedo se non ci si debba fermare a riflettere sulla effettività del principio costituzionale di presunzione di innocenza e, dall'altro, sui rapporti tra arresti e confessione.
D’altronde, siamo in uno stato di diritto. O almeno credo.
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