Avezzano: tombe del VII secolo a. C. tornano alla luce grazie all'archeologia preventiva


L'archeologo Andrea Carandini ne illustra l'importanza


di Valentina Coccia
Categoria: Incolta
31/10/2018 alle ore 18:22



“Possiamo viaggiare solo leggendo, oppure anche vedendo le magnificenze delle nostre città e dei paesaggi illesi. Ma non tutte le civiltà sono visibili. Per restituire la vita e rivedere quanto si è trasformato in strati sotto i nostri piedi, serve l’archeologo che sa smontare le azioni umane come le bacchette nel gioco dello Shanghai.”

Così Andrea Carandini, illustre archeologo ed accademico, nonché presidente del Fai, Fondo per l'Ambiente Italiano, sull'importanza dell'archeologia.

Ed è un viaggio nella storia della città di Avezzano, nello specifico nella più antica fase vitale di questo insediamento, quello che consentono di vivere i recenti, sorprendenti ritrovamenti che la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio dell'Abruzzo ha reso noti in questi giorni. Dal limo sabbioso del Fucino sono infatti riemerse tombe risalenti al VII secolo a. C., alcune delle quali hanno restituito non solo gli inumati, ma anche oggetti di corredo, come una mazza ed una fibula in ferro.

Le meravigliose “bacchette” di questo Shanghai, tutto squisitamente abruzzese, consentono la ricostruzione, tassello dopo tassello, della storia di quei piccoli abitati sparsi sulle sponde del lago, alcuni dei quali indagati mediante precedenti campagne di scavo che hanno riportato alla luce vasi in impasto di varie forme, anticamente utilizzati per le comuni attività quotidiane.

Ma come è avvenuto il ritrovamento e cos'è l'archeologia preventiva?

Con archeologia preventiva si definisce una tipologia di ricerca archeologica che concilia la tutela del patrimonio con le esigenze operative di interventi edilizi, estrattivi o relativi a grandi opere infrastrutturali, nei quali sono previsti lavori di scavo. Tale verifica preventiva è disciplinata dall'art. 25 del D.Lgs. 50/2016 e consente di accertare la sussistenza di giacimenti archeologici ancora conservati nel sottosuolo e di evitarne la distruzione con la realizzazione delle opere in progetto, perché, come giustamente ci rammenda l'art. 20 del D.Lgs. 42/2004, Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio: "i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione".

Ma non solo, la verifica è anche valido strumento a favore della committenza di opere pubbliche in quanto consente di conoscere preventivamente quello che è il cosiddetto “rischio archeologico” dell'area su cui le stesse andranno collocate, prevedendo di conseguenza eventuali variazioni progettuali, difficilmente attuabili in corso d'opera.

L'intervento in questione, informa la Soprintendenza, è stato infatti “condotto in uno spazio ristretto, ha conciliato le differenti esigenze proprie degli interventi di archeologia preventiva”, consentendo sia il recupero dei resti emersi che la posa in opera della tubazione oggetto dell'opera.

Perché, con i giusti criteri, innovazione infrastrutturale e conservazione e tutela del patrimonio possono non solo coesistere, ma lavorare di pari passo e condurre alla rinascita di questo nostro straordinario Abruzzo.

 

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