Ciò che è "giusto" moralmente, non sempre lo è giuridicamente


Qualche giorno fa la Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia per aver lasciato morire, in regime di carcere duro, Bernardo Provenzano


di Garpez
Categoria: La versione di Garpez
30/10/2018 alle ore 06:00



"La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.

Il 23 maggio del 1992, all'altezza dello svincolo per Capaci, lungo l'autostrada A29 che dall'Aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo, perdevano la vita i magistrati Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Fu in conseguenza ed a causa di queste morti che il Parlamento decise di modificare il regime del cosiddetto “carcere duro" previsto dall'art. 41-bis della legge n. 663 del 10 ottobre 1986 (la “legge Gozzini") inizialmente previsto solo per le situazioni di rivolta o per fronteggiare altre gravi emergenze interne alle carceri italiane.

Nel 1992, con la legge n. 356 del 7 agosto, all'art. 41-bis venne aggiunto un secondo comma che, in sostanza, consente al Ministro della Giustizia di sospendere per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica le regole di trattamento e gli istituti dell'ordinamento penitenziario nei confronti dei detenuti facenti parte dell'organizzazione criminale mafiosa.

Qualche giorno fa la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per aver lasciato morire, in regime di carcere duro, Bernardo Provenzano, l'ultimo “padrino" di Cosa Nostra, nonostante il suo stato di salute non fosse compatibile con tale trattamento penitenziario.

Sia ben chiaro: l'art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo non vieta all'Italia di applicare il “41-bis" agli appartenenti di associazioni mafiose, ma impedisce solo che venga mantenuto quando il condannato non versi in condizioni di salute adeguate, perché in questo caso assumerebbe la funzione di pena inumana e degradante.

Provenzano o non Provenzano.

Prima di gridare allo scandalo o di lasciarsi andare ad impulsivi, per quanto comprensibili sfoghi, dobbiamo riflettere, anche se le conseguenze alle quali giungiamo non riusciamo a condividerle.

Perché, purtroppo, ciò che è “giusto" moralmente, non sempre lo è giuridicamente.

 

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