Banca Tercas: ancora altri effetti del fallimento


La corte d'Appello dell'Aquila ha confermato la condanna: violazione degli obblighi di informazione per i propri clienti


di Laura Battista
Categoria: ABRUZZO
15/10/2018 alle ore 16:58

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Banca Tercas: ancora altri effetti del fallimento. La corte d’Appello dell’Aquila ha confermato la condanna ai danni di Banca Tercas (ora diventata Popolare di Bari) a causa di una serie di violazioni di natura contrattuale, o meglio, per la violazione degli obblighi di informazione a beneficio dei propri clienti.

Ecco dunque che i correntisti della Val Vibrata, che avevano acquistato sul finire degli anni ’90 dei titoli obbligazionari dello Stato argentino, dovranno essere risarciti: si tratta di Bond Argentini che, nel caso specifico, erano stati acquistati da dei clienti vilbratiani, mediante l’intermediazione di Banca Tercas.

Negli anni successivi il default finanziario del paese sudamericano ebbe effetti funesti sui titoli obbligazionari. I risparmiatori in questione, però, hanno deciso di avviare un contenzioso nei confronti di Banca Tercas che aveva loro garantito l’intermediazione e favorito l’investimento in titoli obbligazionari. I correntisti, difesi dall’avvocato Vincenzo Migliorati del Foro di Teramo, hanno ottenuto il risarcimento già in primo grado, poiché il tribunale di Teramo ha condannato Banca Tercas, accusandola di aver violato gli obblighi di informazione per i propri clienti.

La condanna in sede civile, che dovrà scontare la ormai Banca Popolare di Bari, è stata confermata anche in secondo grado, e l’Istituto di credito dovrà risarcire i risparmiatori della Val Vibrata per poco più di 198mila euro. Somma alla quale, poi, andranno aggiunti gli interessi maturati e le spese legali.

 

GLI ANNI DELLA SOLIDITÀ DI BANCA TERCAS

La Tercas fino a metà degli anni '90 ha avuto come protagonisti, il suo presidente Lino Nisi, con accanto il suo sempre presente braccio destro, Rocco Saliniche.

Fino alla Seconda Repubblica, la Cassa di Risparmio della provincia di Teramo ha costituito una realtà inattaccabile della Democrazia Cristiana, o meglio, della corrente gaspariana, tuttavia aperta ed in grado di offrire posizioni a repubblicani e liberali, e finanche alla parte avversaria, al fine di non creare conflitti e dissensi.

La Tercas si contraddistingueva soprattutto a ridosso delle festività di fine anno, quando tutti i clienti attendevano impazienti, in fila davanti al proprio direttore, per ricevere un dono natalizio.

 

SECONDA REPUBBLICA E CRAC

Poi, con l’arrivo della Seconda Repubblica, si sono sviluppate nuove strategie all'interno delle banche ed anche i partiti hanno richiesto una sempre maggiore rappresentanza. Così è la volta di un uomo dei Ds, Claudio Di Gennaro, all'interno del consiglio di amministrazione. La banca continua a vivere un momento decisamente propizio, sponsorizzando anche il Teramo Basket negli anni della serie A ed offrendo generosi contributi per gli eventi organizzati in città.

Tuttavia si verifica un’improvvisa inversione di rotta nel momento in cui i direttori delle filiali Tercas cominciano a vendere le azioni della banca ai propri clienti, i quali erano convinti di comprare investimenti finanziari a basso rischio. Ed invece non era così.

Dunque, come un fulmine a ciel sereno, la banca inizia a perdere la propria solidità ed affidabilità; il crac è all'orizzonte ed il commissariamento appare un possibilità sempre più plausibile, purtroppo, quasi inevitabile. Ed ecco quindi che il destino travolge inaspettatamente migliaia di risparmiatori, che perdono tutto con l'azzeramento delle azioni.

 

CAPITOLO GIUDIZIARIO

Si tratta di ben oltre 600 milioni di perdite, che porteranno poi all'avvento della Banca Popolari di Bari. Da questo momento si apre il lungo capitolo giudiziario, contraddistinto da due filoni di inchiesta: uno a Roma, dove il principale imputato è l'allora direttore Antonio Di Matteo, accusato di associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta, riciclaggio, ostacolo alle funzioni della vigilanza, appropriazione indebita.

Anche Lino Nisi è accusato di ostacolo alle funzioni di vigilanza.

Il Tribunale accetta come parti civili la Banca d'Italia, la Fondazione Tercas, la stessa Tercas, la Bper e la holding del gruppo del costruttore Raffele Di Mario, che appare comunque anche tra gli accusati. Una situazione decisamente complessa e ramificata.

L'altro ramo dell'indagine è invece localizzato a Teramo, dove risultano imputate 28 persone: molti di queste, sono direttori ed impiegati delle filiali, che hanno sottratto i risparmi ai loro clienti.

"Un investimento a rischio zero - ha raccontato un cliente - non dovevo leggere quello che c'era scritto perché era un investimento fiducia". Fiducia che tuttavia non sembra aver trovato alcun riscontro: infatti è emersa una sostanziale asimmetria su quanto percepito dai clienti e l’effettivo investimento sottoscritto. L’investimento riguardava l’acquisto di azioni proprie di Banca Tercas, che su una scala da 1 a 5 hanno un rischio pari a 5 (ndr elevato). Al contrario, gli investitori erano certi di sottoscrivere un prodotto diverso, che è quello dei pronti contro termine e quindi un investimento a basso rischio, con una scadenza predeterminata ed un tasso di interesse prestabilito.

 

DI MATTEO CONDANNATO 

Era l’ottobre del 2017 quando il tribunale civile de L’Aquila, nel processo contro l’ex dirigente di Banca Tercas, Antonio Di Matteo, ha decretato la cifra record, pari a 192 milioni di euro, che l’ex direttore generale avrebbe dovuto risarcire alla Banca Popolare di Bari.

La causa era stata avviata dalla nuova proprietà di Tercas, ossia dalla stessa Banca Popolare di Bari, la quale ha mosso una causa di responsabilità civile nei confronti del direttore generale e dei vertici dell’Istituto di credito.

Prima la condanna all’ex direttore generale Antonio Di Matteo. Poi, sarà la volta dell’ex vice-presidente, Claudio Di Gennaro, condannato a risarcire una somma di 176 milioni di euro per il crac di Banca Tercas. Le motivazioni della sentenza di condanna per Di Gennaro, ricalcano poi quelle prese a riferimento per Di Matteo.

Successivamente, con l’audizione dell’ex dirigenete Dario Pilla, succeduto ad Antonio Di Matteo, e del commissario straordinario Riccardo Sora, si è entrati nel vivo il processo a carico di 28 imputati, tra cui lo stesso Di Matteo, per la presunta truffa con le azioni Tercas.

Nel corso dell’udienza Pilla ha ricostruito l’attività di controllo da lui svolta, nel breve periodo tra il suo insediamento e il commissariamento, sottolineando come fin dall’inizio fossero emerse diverse criticità, con una governance di fatto baricentrica e concentrata a livello di direzione generale. “La mia prima azione fu proprio quella di rivedere l’organigramma e le modalità di controllo” ha detto Pilla, che inoltre ha sottolineato come, in quel periodo, Tercas si fosse trovata con una quota eccessiva di azioni proprie che doveva ad ogni costo vendere, poiché impattanti sul patrimonio di vigilanza. Operazione che non poteva avvenire tuttavia come un pronto contro termine, in quanto in quel caso le azioni sarebbero comunque rimaste nel proprio bilancio.

Nella presunta truffa con le azioni Tercas, dunque risultavano imputate, oltre a Di Matteo, all’ex responsabile pro-tempore dell’area finanza della Tercas, Lucio Pensilli e all’allora responsabile pro-tempore dell’area commerciale Alessio Trivelli, altre 28 persone tra dirigenti, direttori di filiali e semplici impiegati, tutto accusati di truffa in concorso, in merito ad un’operazione di vendita, nell’estate del 2011, di azioni proprie della Tercas.

Azioni che secondo la Procura sarebbero state proposte ai clienti di fatto, come semplici ‘pronti contro termine’, investimenti ad un anno con interessi garantiti: a confermare questa incompatibilità tra il profilo dell’investitore ed il suo profilo di rischio, sul banco dei testimoni sarà il consulente della Procura, Igor Catania.

 

SEQUESTRO 

Ad aprile 2018 il Nucleo Speciale Polizia Valutaria ha sequestrato 44 tra immobili e terreni, partecipazioni societarie e somme di denaro nei confronti di 3 persone fisiche, tra le quali il noto imprenditore Raffaele Di Mario, ex Presidente dell’A.S.D. Pomezia calcio e proprietario del locale polo alberghiero “Hotel Selene”, accusati di reati di bancarotta fraudolenta, aggravata dal requisito della transnazionalità in relazione a due società con sede a Roma, dichiarate fallite nel 2017.

Nell’ambito delle pregresse operazioni, che hanno condotto ai processi nei confronti dei vertici dell’istituto di credito e dello stesso imprenditore pometino, era stato rilevato come il sodalizio tra Di Mario ed il direttore generale di Tercas Antonio Di Matteo, aveva consentito al primo di accedere indebitamente a sostanziose iniezioni di credito per finanziare le proprie iniziative immobiliari ed al secondo, di esercitare il controllo della Banca sammarinese SMIB anche attraverso la partecipazione detenuta, tra gli altri, dallo stesso Di Mario.

La conseguenza dell’illecito legame era stato il fallimento della banca teramana e la distrazione di circa 170 milioni di euro dalle numerose aziende, poi tutte fallite, del gruppo DIMAFIN. Per tali condotte, come si ricorderà, sia il Di Mario che il Di Matteo erano stati – sia pur in tempi diversi – tratti in arresto. Inoltre, erano stati sottoposti a sequestro, prima per il dissesto della Banca Tercas e successivamente, per le numerose bancarotte imputate al Di Mario, un totale di 522 milioni di euro circa.

 

LE RICHIESTE DELLA PROCURA

La Procura, rappresentata dal pm Enrica Medori, ha avanzato una richiesta di pena pari a sei anni per ciascuno, per l’ex dirigente, Antonio Di Matteo e per l’ex responsabile pro-tempore dell’area finanza della Tercas, Lucio Pensilli e quattro anni per l’allora responsabile pro-tempore dell’area commerciale Alessio Trivelli.

Oltre a quelle per i tre vertici, il pm aveva chiesto anche la condanna a due anni ciascuno per Piero Lattanzi e Franco Maiorani, che all’epoca ricoprivano i ruoli rispettivamente, di responsabile del servizio privati della Tercas e responsabile pro tempore del settore finanza della banca, a sei mesi ciascuno per Fabrizio Di Bonaventura, Franca Marozzi, Maria Gabriella Calista, Pietro Sciarretta, Nicola Celli, Rosanna Arcieri, Valentina Angelozzi, Enrico Robbuffo, Luisa Ferri e a nove mesi per Silvana De Sanctis che all’epoca, in base alle diverse posizioni, ricoprivano ruoli che andavano da quelli di direttori a vicedirettori di filiale fino ad addetti alla riprofilatura dei clienti.

 

EPILOGO 

Nel giugno 2018, il lungo ed articolato processo giudiziario, ha avuto un epilogo decisamente favorevole per i protagonisti della vicenda. Infatti, sono stati tutti assolti i 28 imputati accusati di truffa in concorso con le azioni della Tercas, perché “il fatto non sussiste e non costituisce reato”.

Nello specifico, il direttore generale Antonio Di Matteo (difeso da Gianni Falconi e Claudia Di Matteo) e gli altri 27 imputati, non hanno dimostrato nessuna frode nell'esercizio delle loro funzioni. Assoluzione piena dunque per una banca solida e affidabile e per un affare che aveva dimostrato di essere conveniente e sicuro per entrambe le parti.

Nelle 60 pagine della sentenza, il giudice del Tribunale di Teramo, Flavio Conciatori, ha raccontato gli anni della coerenza e della solidità bancaria, partendo dall'autorizzazione di Banca D'Italia a Banca Tercas (29/12/2010) che dimostrava di avere un rating di affidabilità di altissimo livello, 17 milioni di euro di utili. Ha così emesso la sentenza di completa assoluzione.

Ecco quindi il commento dell’avvocato Gianni Falconi, legale di Di Matteo, insieme alla collega Claudia Di Matteo: “La sentenza assolutoria è l’epilogo del mirabile operato del Tribunale; la magistratura ha restituito onorabilità e prestigio al dottore Di Matteo. L’accertata insussistenza dei fatti dimostra che la Tercas, nel periodo in cui è stata diretta da Di Matteo, non ha mai negato agli investitori il riacquisto delle proprie quote né più né meno di quanto è accaduto nell’operazione del 2010, perché la Banca le collocava nella certezza che avrebbe potuto riacquistarle, in quanto aveva la necessaria solidità finanziaria e perché ha sempre anteposto gli interessi dei suoi clienti ai propri”.

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