Terremoto, Barca: all'Aquila persa enorme occasione, è mancata visione del futuro


L'ex ministro della Coesione: "Renzi? Ostaggio dei capobastone. Ora che non vince più lo butteranno via. E il Pd rischia la fine del carciofo"


di Ilaria Proietti - M.E.Cosenza
Categoria: ABRUZZO
10/07/2017 alle ore 08:54



Errori macroscopici nella gestione del post-terremoto. Dall’uso dei fondi per incentivare il rientro delle attività nel centro storico alla mancata valorizzazione del turismo e del piano di sviluppo dell’area del Gran Sasso. Non è lusinghiero il giudizio dell’ex ministro della Coesione, Fabrizio Barca all’Aquila per il Festival della Partecipazione. Una kermesse vicina alla sua idea di coinvolgimento e di mobilitazione dal basso delle forze attive della società civile. Che senza successo – spiega in questa intervista ad Impaginato.it - ha tentato negli scorsi anni di rimettere in connessione con il Pd. Che ha invece scelto un’altra strada costringendolo a dimettersi clamorosamente dalla commissione di riforma del partito. “La mia idea di Pd ha messo in crisi l’attuale dirigenza stretta attorno ad un leader che si è circondato però di incompetenti. Come quelli che, per intenderci hanno scritto, malissimo, lo statuto”. Un leader, Matteo Renzi “che non vince più” e che “da giocatore d’azzardo qual è, ora, come nel caso dei migranti, si muove in una maniera assolutamente scomposta e sorprendente”. Cosa succederà? “Dal 4 dicembre dopo la sconfitta sul referendum, è stato preso in ostaggio. E alla prima occasione Renzi verrà buttato via”.

Ma quel che più preoccupa Barca è la sorte del Pd. Che proprio per aver scelto di puntare su incompetenti e di rinunciare al lessico e ai contenuti della sinistra, rischia grosso. In questo schema di assoluto scollamento rispetto al suo popolo e alla società più in generale che si traduce in un esercizio “del potere per il potere”. Ed in quest’ottica le elezioni amministrative dell’Aquila sono più di un campanello di allarme. Perchè questa incapacità dei dem di mettersi in ascolto la si vede anche in Abruzzo. “Non ho visto ai miei incontri al Festival della Partecipazione nessuno dei maggiorenti dem che pure in passato erano sempre stati presenti” dice Barca. Che per la classe dirigente dell’Aquila è stato uno dei punti di riferimento fondamentali a Roma dopo il sisma del 6 aprile 2009. “Alcune idee hanno preso il volo, come nel caso del Gran Sasso Science Institute o della rete dei sottoservizi che renderà L’Aquila l’unica smartcity antica d’Italia. Mentre malissimo è andata la parte dello sviluppo. Si è persa l’occasione di far diventare la città un centro di formazione del gruppo dirigente per la ricostruzione del domani. Ma la colpa principale di tutto ciò è dello Stato centrale perché quando si decide di investire circa 13 miliardi di euro su un territorio, bisogna chiederne conto e portarne la responsabilità. Anche costringendo chi evidentemente non è capace di farlo a mobilitarsi per discutere di quello che sarà la città tra 20 anni”.

Insomma lo schema che si era immaginato per L’Aquila e cioè la “massima delega ai livelli locali per la ricostruzione associata ad un forte proattivismo centrale” è saltato. Un fallimento o quasi, che racconta, a livello nazionale, anche la crisi di sistema dello stesso Pd. Che ha lentamente cambiato lessico, grammatica, valori di riferimento. “Si sta facendo come con i carciofi – prova a sdrammatizzare Barca - . A forza di togliere le foglie alla fine, se sono di pessima qualità, resterà solo il pelo. Renzi è fondamentalmente un valido uomo della sinistra. Che ha però commesso molti errori dimostrando come gli manchi la comprensione di un pezzo importante della realtà. E guardo con grande interesse a quanti come Pisapia sapranno offrire un’alternativa su cui esprimere il nostro voto” dice Barca che al Pd è ancora iscritto. Ma che è sempre più lontano da un partito che ha scelto di consegnarsi alla logica dei “capobastone”. Un partito che, per la verità, nonostante il suo allontanamento, Barca non ha ‘tradito’ neppure nel delicatissimo passaggio del referendum costituzionale. “Io ho votato sì. Ma solo perché intravedevo cosa sarebbe successo in casa nostra in caso di sconfitta. Circostanza che si è puntualmente verificata. Ebbene in una casa dove si è scelta la logica dell’esercizio del potere per il potere e cioè non condizionabile positivamente dal basso e dove il leader è usato come testa d’ariete per sdoganare interessi che nulla hanno a che fare con noi, una volta che si perde succede una cosa semplicissima: Renzi non serve più e a breve lo butteranno via”. Avanti il prossimo.