Sono i resti di un'antica iscrizione che corre sopra il portale d'ingresso a narrarci la miracolosa storia della fondazione della chiesa di Santa Maria di Propezzano, quella di tre pellegrini tedeschi che, di ritorno dalla Terra Santa, esattamente il 10 maggio 715 ebbero in quel lembo di terra la celestiale visione della Vergine propizia – da cui il nome del complesso - che li esortava ad erigere una chiesa nei pressi di una piccola pianta di Corniolo, prodigiosa complice di questo lieto evento.
L'edificio, una delle perle del romanico abruzzese che impreziosiscono la valle del Vomano, così come le coeve abbazie di San Salvatore di Canzano e San Clemente al Vomano, fu in realtà eretto, sempre secondo la medesima iscrizione, nel 1285 – secondo la trascrizione di Vincenzo Bindi, da alcuni storici decifrata invece come 1466.
Sono i prospetti e le piante a fornire elementi fondamentali per la ricostruzione delle vicende di questo prezioso bene, le cui remote origini sono riferibili al periodo alto medievale, poi distrutto dal susseguirsi delle incursioni barbare, per risorgere dalle mani dei frati benedettini e, successivamente, dei francescani.
L'edificio attuale è dunque frutto di diverse fasi evolutive nelle quali una prima, antica chiesa ad unica navata, databile all'XI secolo e le cui tracce sono ancora visibili in pianta nella piccola abside semicircolare e nell'oculo inferiore in facciata, venne ampliata giungendo all'attuale impianto a tre navate, con la centrale maggiore delle laterali, senza transetto né abside.
La facciata è anch'essa solcata dalle varie fasi costruttive, con una fronte a coronamento rettilineo, tipica del romanico abruzzese, decorata con archi pensili intrecciati, che in corrispondenza della navata destra è inglobata dei locali del convento, frutto delle trasformazioni attuate nel corso del XIV secolo, in occasione dell'aggiunta delle navate laterali.
Il suo aspetto definitivo, quello che ancor oggi accoglie il visitatore, è tuttavia opera dell'iniziativa dei cardinali Acquaviva, abati commendatari dell'abbazia, vedesi il grande rosone con ghiera in terracotta, il piccolo portico a tetto con tre archi a tutto sesto sul fronte, la torre campanaria e la Porta Santa, il ricco portale in pietra attribuito all'opera di Raimondo del Poggio e noto anche come “portale atriano” per le stringenti affinità stilistiche con l'esemplare realizzato dal medesimo artista per la magnifica cattedrale di Atri, tra i cui capitelli emerge proprio lo stemma della prestigiosa famiglia.
L'interno è scandito in tre navate da imponenti archi a tutto sesto e l'occhio è catturato, al termine della centrale, da quei resti di mura absidali appartenenti alla piccola chiesa del 1215, che un sapiente restauro ha scelto di lasciare a vista. Il candore sacrale del cotto è a tratti interrotto dagli affreschi - la cui data d'esecuzione, 1499, è fedelmente riportata - che si estendono sul soprarco della seconda campata di sinistra e riportano le vicende della fondazione dell'edificio ed un'Annunciazione, con lacerti di una Crocifissione anche in controfacciata.
Affascinante anche il chiostro a due ordini annesso al monastero, le cui due fasi costruttive si palesano con particolare evidenza nella diversificazione dei pilastri – a sezione ottagonale gli inferiori, con ampie arcate a tutto sesto, tondeggianti i superiori, con arcatelle di minori dimensioni. Di grande interesse il ciclo d'affreschi che si sviluppa nelle lunette, realizzato con ogni probabilità a più mani nella seconda metà del XVII secolo, su progetto del pittore polacco Sebastiano Majeski, attivo nel teramano, mentre al 1597 risalgono invece le pitture che ornano il refettorio, con storie che ancora una volta rimandano alla Vergine “Crognale” - un riferimento dialettale al Corniolo, l'arbusto protagonista della vicenda.
Questo è un bene culturale ancor oggi vivo e vitale: il suo verdeggiante agro, una pennellata smeraldo, mirto, giada e oro stesa sinuosa da un divino pennello alle pendici del Gran Sasso e poi giù a sfumare fino a intingersi nell'Adriatico – queste sono per me le Colline Teramane - produce ancora delizie grazie al sapiente lavoro dell'azienda agricola Abbazia di Propezzano di Paolo Savini de Strasser. E così nelle stanze di questo edificio ancora si producono e si lavorano vino, olio, cereali e le millenarie tradizioni si mescolano con l'innovazione e con la valorizzazione grazie ad un ampio progetto che, a partire dal 2011, vede questo luogo sede di svariate iniziative culturali, che spaziano dall'arte alla letteratura, fino al folklore.
Sospesa tra le colline, sospesa nel tempo, in un mistico silenzio fatto di luce che teneramente accarezza il mattone, e le foglie. Ora et labora: solo i nostri costumi a tradire l'ampio lasso cronologico. Perché valorizzare non è solo rievocare, ma anche, e soprattutto, mantenere in vita.
L'Abbazia di Propezzano è ancora, nel 2018, centro di produzione culturale, una cultura nella quale l'arte, la sacralità e i prodotti della terra si fondono.
Esattamente come allora.
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