Genova: dalla metafora della frammentazione, alla possibilità di una rinascita


Il tragico crollo del Ponte Morandi, avvenuto il 14 Agosto scorso ci conduce ad una serie di libere associazioni


di Bruna Silvidii
Categoria: Psiconauta
01/10/2018 alle ore 21:21



Il tragico crollo del Ponte Morandi, avvenuto il 14 Agosto scorso, a Genova, ci conduce ad una serie di libere associazioni, di carattere simbolico e richiede una chiave di lettura più profonda.

Il Ponte che unisce, il Ponte che divide, il Ponte sospeso, il Ponte abitato, il Ponte isolato, il Ponte che crolla, il Ponte che si muove…Un Ponte rappresenta tanti “stati fenomenologici” differenti, ognuno dei quali corrisponde ad altrettante immagini, sia concrete che metaforiche.

Il noto architetto A. G. Cassani, autore del testo “Figure del ponte”, ci invita invece a guardare al carattere “sacrilego” del ponte stesso. Indipendentemente dalla forma o configurazione o “azione” che esso compie, il Ponte è prima di tutto un’“infrazione” all’ordine costituito per natura, un artificio potenzialmente dissacrante. Come costruzione umana, il Ponte profana la terra in cui si radica, costituendone una violazione, ma a differenza di ogni altra costruzione umana, esso compie tale profanazione anche nei confronti dell’acqua, «madre di tutte le cose, origine della vita, germe di tutte le virtualità».

Il ponte di Genova era sospeso sopra un fiume: anche in questo caso sono presenti due elementi. L’elemento aria richiama la mente, l’intelletto e la comunicazione; l’elemento acqua fa riferimento, nelle culture sciamaniche dell’America del Sud, all’associazione con le emozioni, così come tra la terra ed il corpo, tra l’aria ed il pensiero, tra il fuoco e lo spirito.

E’ quindi possibile interpretare, metaforicamente, il ponte come espressione della forza della ragione che domina l’emozionalità (l’acqua che scorre alcune decine di metri più sotto). Ma quando la comunicazione si fa sempre più dissonante, la mente si oscura ed il ponte precipita verso l’acqua, verso le emozioni contrastanti che hanno acceso le discussioni e le divisioni di questi ultimi tempi. Come non pensare al fenomeno dell’immigrazione ed alle difficoltà di comunicazione dell’uomo contemporaneo con l’Altro, diverso da Sé e quindi alla frammentazione di quelle “connessioni” socio-culturali, che consentono la costruzione del dialogo, così come, simbolicamente, il ponte rende possibile la connessione e la comunicazione, tra sponde opposte e quindi tra realtà diverse.

Nulla accade per caso: proprio a Genova, luogo di scambi, crocevia di incontri tra etnie diverse, come nei “Creuza de ma”, raccontati dalla musica e dalla voce di Fabrizio De Andrè, crolla un ponte, analogicamente considerato come elemento di congiunzione tra gli opposti. Sottesa in queste analogie è la connessione fra i due mondi: uno materiale, corrispondente alla realtà manifesta e l’altro immateriale, rappresentato dal mondo interno. L’osservazione della realtà manifesta è sempre ricca di immagini che rivelano la nostra dimensione profonda e che sono, nel contempo, espressione sia di un Inconscio Individuale che dell’Inconscio Collettivo. Come C. G. Jung ci ha spiegato, attraverso il fenomeno della Sincronicità, alcune volte ciò che accade nella realtà esterna, può essere la rappresentazione di ciò che sta accadendo nella dimensione intrapsichica dell’individuo: se si “rompono i ponti” con qualcuno, si interrompe, simbolicamente, la capacità di comunicare e di relazionarsi agli altri, ma prima di tutto si interrompe la capacità di dialogare con le proprie istanze psichiche, perdendo quella capacità creativa, attraverso la quale far coesistere gli opposti dentro e fuori di noi.

Dove si costruiscono ponti, non ci sono fusione o identificazione totali, ma neppure scissione o isolamento. Dice Rosemary Gordon, psicoanalista junghiana della scuola londinese, che “il ponte è esperienza concreta di unità e diversità insieme, di opposti che si incontrano, solo in quanto si sono riconosciuti tali e possono infine, arrivare a congiungersi”.

Nell’attuale panorama socio-culturale, l’evidente “crollo” dei tradizionali canali di comunicazione e l’estrema frammentazione dell’identità individuale, al punto che G. Lai, noto psicoanalista milanese, ha parlato di “disidentità” (1988), rappresentano, l’effetto tangibile di una profonda crisi dell’identità collettiva.

Ma la parola “crisi” deriva dal greco “crisis”, ovvero “cambiamento” , per cui dopo il “crollo” di un vecchio equilibrio, è possibile ri-costruire, attraverso la “resilienza”, nuove modalità di incontro con noi stessi e con gli altri. Credo che sarebbe opportuno, imparando dai tragici eventi accaduti a Genova, attribuire importanza alla prevenzione.

Le drastiche rotture di equilibri già precari, nella realtà, possono essere evitate, cercando di potenziare le risorse individuali e collettive, insite nella natura umana, al fine di consolidare, dentro e fuori di noi , il desiderio di rinascita dell’armonia universale, fra la realtà dei fenomeni concreti e la dimensione dell’invisibile.

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